San Biagio
di Claudio Favaretto
Nel numero precedente si era parlato della strana storia di sant’Antonio abate, passato da eremita in Egitto a protettore delle nostre stalle.
Come fu possibile una simile migrazione?
Con ogni probabilità il cambiamento fu veicolato dall’immagine del maialino che accompagnava la figura del santo. Si pensa, infatti, che dal maiale che i monaci allevavano si ricavasse l’unguento per alleviare, se non guarire, le piaghe dovute al cosiddetto fuoco di sant’Antonio, cioè l’herpes zoster.
Dal singolo animale la pietà popolare ampliò la protezione del santo fino a farlo diventare il protettore di tutti gli animali della stalla e del cortile. Ecco perché nelle stalle familiari di un tempo, compresa quella dei miei nonni, si trovava immancabilmente l’immagine del santo eremita, vestito con un saio scuro lungo fino ai piedi, con in mano un bastone a croce decussa, cioè troncata, munito di campanella, con ai piedi un maialino a sua volta circondato dagli animali della fattoria.
Esisteva, fino ad alcuni decenni fa dalle nostre parti, e forse persiste ancora in qualche parte d’Italia, la consuetudine di allevare un maialino che veniva nutrito dalle famiglie di un villaggio o di una contrada. Questo animale, chiamato il “porcello di sant’Antonio”, diventato adulto, veniva donato al parroco o era posto come primo premio di una lotteria di beneficenza il cui ricavato serviva a finanziare opere di bene.
E’ simpatico ricordare che le mamme di un tempo, alle prese con i propri figli adolescenti, irrequieti e sempre in movimento, li apostrofavano dicendo loro “ te si come el porsel de sant’Antonio!” [sei come il porcello di sant’Antonio]!” Oggi tale paragone, se pur fosse conosciuto dalle mamme, non sarebbe certo più compreso dai figli, che però continuano ad essere irrequieti come i loro predecessori!
Ma è il tempo di parlare di un altro santo molto popolare: san Biagio.
E’ stupefacente constatare co- me alcuni santi, di origini lontanissime, abbiano come trovato casa dalle nostre parti e abbiano goduto, e in parte ancora godano, di un culto affettuoso.
Così è avvenuto a questo santo che, vescovo di Sebaste, nella remota Armenia, fu martirizzato nel 316 dopo Cristo, vale a dire ben tre anni dopo l’Editto di Milano che aveva reso libero il culto cristiano, editto emanato congiuntamente da Licinio e Costantino. Eppure, sembra proprio che l’imperatore Licinio, che aveva avuto in dominio l’Oriente, abbia scatenato una persecuzione contro i cristiani per avere probabilmente l’appoggio dei pagani nel tentativo di sconfiggere il cognato Costantino.
Malgrado si fosse rifugiato lontano dalla città, in una grotta, Biagio fu scoperto e catturato dai soldati inviati alla sua ricerca. Processato, di fronte al suo rifiuto di ripudiare il cristianesimo, fu prima scarnificato con i pettini di ferro usati dai cardatori di tessuti, poi gettato in carcere ed infine decapitato. Naturalmente attorno alla sua storia fiorirono leggende che lo fecero diventare molto amato dal popolo. In particolare due sono state così seguite che ancor oggi, a distanza di 1700 anni, vengono ricordate attraverso due azioni suggestive: la benedizione della gola e la benedizione e la distribuzione del pane.
La prima si riferisce al ricordo della guarigione di un bambino morente per aver ingerito una lisca di pesce: al moribondo, tenuto in braccio da una madre disperata, il vescovo impose le mani ed il bambino, tossendo, espulse la lisca.
Da tempo immemorabile nella ricorrenza liturgica del santo, il 3 febbraio, alla fine della messa il sacerdote, incrociando due candele sulla gola di ciascun fedele, invoca la protezione di san Biagio contro le malattie della gola, malattie che un tempo erano temutissime, in particolare la difterite, contagiosa e spesso mortale. La seconda azione è quella della benedizione e distribuzione del pane, chiamato, appunto, pane di san Biagio. Anche questa cerimonia sembra avere qualche legame con quella precedente in quanto si dice che il santo, dopo la guarigione, avesse consigliato alla madre di dare da mangiare al figlio un boccone di mollica. Ma, più probabilmente, negli anni tremendi delle carestie, per tanti poveri quel po’ di pane generosamente distribuito dalla chiesa poteva significare la sopravvivenza. Resta da spiegare la presenza delle candele.
Uno dei tanti meriti attribuiti a Biagio, è quello di aver ammansito un lupo che aveva sottratto un maialino ad una povera vedova, la quale supplicò il vescovo di aiutarla perché era rimasta priva di sostentamento alimentare per sé e i figli durante il freddo inverno. Grazie all’intervento di san Biagio, il lupo restituì il mal tolto. La vedova, quando seppe che Biagio era stato incarcerato, uccise il maiale e gliene portò le zampe ed una candela fatta con il sego. Il santo, commosso, le disse che se avesse offerto alla chiesa ogni anno una candela ed un pane in suo nome avrebbe ricevuto bene e salute.
E’ commovente constatare come ancor oggi in varie località d’Italia si ripetano con fede queste azioni in ricordo e onore di san Biagio. Così avviene a san Biagio di Baver di Pianzano di Godega sant’Urbano, in provincia di Treviso, dove sorge una chiesetta risalente al XIII° secolo che conserva un interessante ciclo di affreschi quattro-cinquecenteschi con scene di vita del patrono.
Si allega, a testimonianza, la foto che riporta l’episodio del supplizio del santo, sulla sinistra della finestra, della sua decollazione sulla destra e, al centro, della sua gloria portatoin cielo da due angeli. La foto mi è stata inviata dall’Associazione culturale borgo Baver, per concessione della famiglia Dal Cin, proprietaria del bene.
Dal punto di vista iconografico, san Biagio si riconosce per la presenza della candela accesa, del pettine di ferro dei cardatori e spesso di una donna che porta in braccio un bambino cui si è conficcata una lisca di pesce, come si può vedere dalla foto di un “santino” (g.c.) tratto dalla collezione del prof. Giandomenico Mazzocato.
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