Gli eredi di Cobelli Aldo e i “classici” del Trentino
di Nino d’Antonio
Dietro, c’è l’eredità morale e la passione di un uomo per quel suo vigneto difficile e faticoso come ogni zolla del Trentino. E in più, una vita spesa fra i vecchi muri del Maso Panizza di Sopra e l’andamento anarchico delle colline Avisiane.
Così si racchiude in pochi ettari tutto il mondo di Aldo Cobelli. Quanto basta per caricare d’impegno e di orgoglio quelle sue uve, anche se poi finiranno nel calderone unico della Cantina sociale. Ma per lui è come se ogni grappolo portasse impressa la sua faccia.
E poi, chissà se un giorno quel vino non possa avere una sua paternità col nome di Aldo Cobelli.
Ma intanto c’è da tirar su tre ragazzi, Devis, Tiziano e Ivano, tutti studenti di Agraria e di Enologia nella celebre Scuola di San Michele all’Adige, sotto l’occhio vigile e premuroso di mamma Renata.
Poi i grandi sogni di Aldo usciranno di scena insieme a lui.
O meglio, saranno raccolti dai figli, i quali non solo mettono a frutto la sua straordinaria miniera di insegnamenti, ma decidono di dichiararsi ufficialmente “Eredi di Cobelli Aldo”, per i vini che si accingono a imbottigliare.
E qui bisogna prendere atto che non c’è ombra di rivalità o di supremazia fra i tre giovani. Ognuno ha il suo ruolo, fino ad Ivano, il più giovane, anch’egli enologo, che dalla cantina passa all’accoglienza e alle degustazioni. Insomma, un trittico perfetto, all’insegna dell’immagine e della memoria del padre.
Ma quali sono i vini prodotti dagli “Eredi di Cobelli Aldo”? Bisogna per apprezzarne l’identità e il carattere, che si tenga conto di almeno due elementi: il clima, che mitigato dall’azione del Garda, si sottrae ai rigori alpini, e il terreno, dove la larga presenza di gesso - prodotto dalla evaporazione dei sali marini - dà una particolare connotazione alle uve.
Oggi, l’azienda conta circa nove ettari per un totale di quarantamila bottiglie, di cui seimila spumanti, metodo classico.
Una rapida carrellata fra le etichette, non va oltre cinque tipologie, tutte strettamente legate al territorio.
Abbiamo così: Gess (ovvero gesso) da vigneti del ’68, con una resa di 50/60 quintali per ettaro.
Fermentazione in acciaio, dopo una settimana di macerazione sulle bucce.
Grill (ancora un nome legato al territorio, quello di un vecchio maso).
Uva Teroldego, e almeno tre anni d’invecchiamento. Arlevo, sempre fra i vigneti e i masi del trentino.
La parola significa figlio, e questo dice quale rapporto d’amore vi sia fra le viti e il vignaiolo. Fermenta per dieci mesi in botti di rovere e altri quattro in acciaio.
Nosiol, dall’uva autoctona fra le più diffuse.
Vive un doppio passaggio: in acciaio per otto mesi e altrettanti in bottiglia.
Infine abbiamo Aldo, uve Chardonnay in purezza, della collina di Sorni. Vinificato al 50% in legno e acciaio. Riposa almeno per quattro anni sui lieviti.
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