Dal Cedro alla Cedrata
di Enzo Gambin
Il cedro detto anche cedrato, ossia il Citrus medica, è il progenitore di tutti gli agrumi, è originario dal Sud Est asiatico, è una pianta fantastica, ampollosa, maestosa nella chioma e con frutti bitorzoluti e mostruosi.
Sin dall’antichità è stato il simbolo dell’Oriente, fatto di profumi, di colori, di miti, di misteri e strettamente legato alle tradizioni religiose ebraiche, Levitico 23:40, Dio aveva detto a Mosè: “Prendete i frutti dell’albero più bello, dei rami di palma e dell’albero più frondoso, dei salici del torrente e vi rallegrerete dinanzi al Signore Dio vostro”.
Erano i cedri “i frutti dell’albero più bello”, presenti nella “Festa delle Capanne”, uno tra i più importanti riti religiosi, dove durante le preghiere si teneva e si tiene in mano un ramo di palma, uno di mirto, due rami di salice e un frutto di cedro, privo di difetti. Gli ebrei diffusero la coltivazione del cedro in tutto il bacino Mediterraneo, che chiamavano “héder”, parola di probabile origine semitica, dal significato “maestoso”, poi trasformatasi nelle pronunce aramaiche e fenice in “kédre”, passò al greco, lingua ufficiale del tempo, come “κέδρος”, kédros, fu accolta nella lingua latina come “cèdrus” e passò all’italiano nella forma volgarizzata di “cedro” con il derivato di “cedrato”, che ha sapore o odore di cedro.
La diffusione del cedro nell’area Mediterranea fu probabilmente operata dagli Ebrei dopo la loro liberazione dalla cattività babilonese, per merito di Ciro il Grande nel 550 a.C., momento in cui non tutti gli ebrei fecero ritorno in Palestina, molti si trasferirono in Fenicia, in Anatolia e in Grecia, conservando i loro riti religiosi e, tra questi, la coltivane del cedro.
Prima di apparire nella letteratura greca, il cedro entrò nella sua mitologia, giacché s’identificavano gli alberi dai pomi d’oro, che Hera aveva portato in dote alle nozze con Zeus per allestire il “giardino delle Esperidi”.
A questo mito si univa quello di Eracle, l’Ercole dei Latini, che, tra le sue imprese, compì l’undicesima fatica, uccise il drago posto a guardia di questo giardino e s’impossessò dei pomi d’oro.
In Grecia la coltivazione del cedro fu descritta da Teofrasto di Ereso, 372-287 a.C., nel libro 4 cap.4 della “Historia plantarum”, da li sappiamo che il frutto non era utilizzato come cibo, probabilmente perché il suo utilizzo era sacrale e medicinale: “Tutto il territorio situato ad oriente ed a meridione produce piante ed animali particolari: tanto che si distingue in Media ed in Persia, tra le tante altre produzioni, la pianta che viene chiamata “Pomo di Media” o “di Persia.
Questo albero ha la foglia simile, quasi uguale a quella dell’alloro, porta aculei come il pero (selvatico) o delle spine molto puntute, più sottili e più robuste; il suo frutto non si mangia ma ha un odore squisito e la foglia di quest’albero è profumatissima; se il frutto viene posto tra le vesti le preserva intatte (da attacchi parassitari). Il frutto è utile (per annullare gli effetti) come una pozione mortale e per correggere i difetti dell’alito dal momento che, se qualcuno dalla polpa ne ricava un succo oppure un decotto qualsiasi e con questi sciacqua la bocca, giungerà ad ottenere un alito soave.
Il seme va messo in terra in primavera in solchi preparati con la massima diligenza: dopo di che va irrigato per quattro o cinque giorni, quando la pianta ha preso un po’ di forza, va trapiantata sempre in primavera in un terreno morbido ed umido che non sia troppo leggero; così infatti lo preferisce. Porta continuamente dei frutti, alcuni che cadono perché maturi, altri appena nati, altri vicini alla maturazione.
frutti nascono esclusivamente dai fiori che hanno al centro una specie di frutto dritto, perché i fiori che ne sono sprovvisti cadono senza produrre alcunché.
Si seminano, anche, come le palme, in vasi di terracotta forata: questo albero come è già stato detto, è comune in Persia e nella Media”. Nella letteratura latina i richiami al cedro sono numerosi, da Cloanzio Vero, II secolo a.C., che lo chiama “citreum”, al botanico Oppio, che definisce i cedri, “citrea”, al celebre gastronomo Apicio Celio, vissuto nel I secolo a.C., nella sua opera “De re coquinaria” inserisce il frutto del cedro tra le sue ricette più elaborate. Gli agronomi latini che s’interessarono al cedro, riprendendo quanto già riferito da Teosfrato, fu Publio Virgilio Marone, noto come Virgilio, 70 a.C – 19 a. C., che, nella “Georgiche” al Libro due, scriveva: “Vanta la Media del felice pomo,/ Di cui non avvi antidoto più pronto / Al rio veleno che talor prepara / Malefiche mescendo erbe e parole, / Ai non suoi figli la crudel matrigna. /Grande è la pianta e di color, di forma / Somigliante a l’allor, e alloro forse / La crederesti, se diverso intorno / Non diffondesse il penetrante odore. / Verdi ha le foglie, e non le stacca il vento, / Tenacissimi i fior: usanlo i Medi / A medicare e l’alito che pute, / E lo stentato anelito senile.”
Arrivò poi Plinio il Vecchio, 23 –79, nella sua “Naturalis Historia” che riportò: “cedrus in Creta, Africa, Syria laudatissima (il cedro è molto pregiato a Creta, in Africa, in Siria) ….. cedri oleo peruncta materies nec tiniam nec cariem sentit ( il legno unto con olio di cedro non avverte né il tarlo né carie) Cedrus magna, quam cedrelaten vocant, dat picem, quam cedria vocatur, dentium doloribus utilissimam (Il cedro grande, che chiamano cedrelate, fornisce una sostanza vischiosa, che detta cedria, che è utilissima per alleviare i dolori dei denti). L’ultimo degli agronomi romani, Rutilio Tauro Euriliano Palladio, IV secolo, nella sua opera “L’Opus agriculturae”, opera composta di un libro di carattere generale e di altri dodici, uno per ogni mese dell’anno, riferisce delle tecniche di coltivazione del cedro per i mesi da marzo a novembre e riferisce di coltivazioni in Sardegna e a Napoli.
Matteo Silvatico, 1277-1342, medico della Scuola salernitana, nel suo “Opus Pandectarum Medicinae”, propose il cedro, arancio amaro, limone e lima come agrumi coltivati in Liguria, diffondendosi anche sull’uso medicinale, in particolare del limone.
Pier de’ Crescenzi, 1233-1320/21, nell’”Opus ruralium commodorum” elenca tre tipologie di giardini e tra gli agrumi cita soltanto il cedro.
Nell’introduzione della III giornata del “Decamerone” il Boccaccio, 1313 –1375, descrive l’arrivo nello splendido giardino di un ricco palazzo « .... era un prato di minutissima erba e verde tanto, che quasi nera parea, dipinto tutto forse di mille varietà di fiori, chiuso dintorno di verdissimi e vivi aranci e di cedri, li quali, avendo i vecchi frutti e’ nuovi e i fiori ancora, non solamente piacevole ombra agli occhi, ma ancora all’odorato facevan piacere.».
Castor Durante, 1529 – 1590, medico e botanico nel suo “Herbario novo” del 1585 riportava: “ [il Cedro] è utile per chiarir la vista, perciocché leva via le cicatrici, e l’albugini de gli occhi; ammazza i vermini dell’orecchie destillato con acero e messa nelle concavità dei denti levane il dolore … L’olio cavato dalla cedria sana la rogna dei quadrupedi: ungendosene il corpo insieme con midolla o grasso di cervo non lascia apprestare (avvicinare) i serpenti”.
Se Rutilio Tauro associava il cedro al Sud-Italia, è però necessario volgere lo sguardo alle sponde del Lago di Garda, territorio che offre un clima particolarmente mite, tanto da rendere possibile questa coltivazione nelle sue sponde. Sin dal Trecento i Monaci Francescani qui coltivavano il cedro e ne traevano distillati per preparazioni di medicinali e una bevanda particolare, chiamata cedrata. Il medico Francesco Redi Francesco Redi, 1626 – 1697, nella sua operetta “Dal Bacco in Toscana, una descrizione del ritorno dall’India di Bacco e della sua Arianna a bere i vini della Toscana fa riferimento un dissetante di cedro allungato con acqua « … Da mia masnada / Lungi sen vada / Ogni bigoncia, /Che d’acqua acconcia / Colma si sta: L’acqua cedrata … »
Nel 1793 a Salò, sulle sponde bresciane del Lago di Garda, nel laboratorio degli speziali Tassoni, si produceva la “cedrata”.
Nel 1886, gli eredi di questa impresa crearono alla “Cedral Tassoni”, producendo sciroppi a base di cedro. Negli anni Cinquanta del secolo scorso, mescolando lo sciroppo di cedro con acqua e soda, la Tassoni realizzò la bibita “Cedrata Tassoni”, rinfrescante dal sapore inconfondibile e riconosciuta in tutto il mondo, tanto da far dire al giornalista Enzo Biagi, 1920 – 2007: “Era così ignorante che credeva che la Cedrata fosse un’opera minore del Tassoni.”
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