La storia Trentina del Nosiola
di T.V.
Il Nosiola, vitigno dalle origini sconosciute, è presente nella storia trentina fin dai tempi del Concilio di Trento. Diverse le interpretazioni sul nome: negli studi del Settecento si parla di ‘’uva dall’occhio bianco’’, da cui si arriverebbe al dialettale ociolet o nosiolet.
Un’altra supposizione insiste sul fatto che le uve di questa varietà sono coltivate in zone miti, spesso circondate da piante che privilegiano questi climi tra cui il nocciolo. Questo fatto dà luogo ad altre due interpretazioni: la prima gioca sul colore che assumono gli acini del Nosiola quando giungono a maturazione, che richiamerebbe quello delle nocciole selvatiche, l’altra sostiene che sia tipico del vino offrire intensi profumi di nocciole tostate.
Il suo clima alpino, fatto di ampie escursioni termine tra il giorno e la notte, e un’orografia che favorisce esposizioni ottimali nell’arco della giornata (seppur di difficile gestione a causa delle pendenze) sono alla base del successo della sua produzione costituita per gran parte da vini bianchi (68% del totale nel 2017), sia fermi che spumanti.
Avendo un territorio esclusivamente montuoso, lo spazio per la viticoltura è limitato ma sapientemente organizzato e mantenuto da secoli, tanto che si può considerare la regione un patrimonio storico in ambito enologico.
I laghi, nel nome, il vento nell’identità. In connubio inscindibile. Che rende la Valle dei Laghi quanto di più variegato consenta il paesaggio alpino. Tracce indelebili di ataviche mutazioni.
Tra contrasti e altrettante amenità. Acqua, rocce, aria.
Miscelati chissà come e quando, fino a formare scenari di un habitat apparentemente omogeneo, in realtà tutto da scoprire.
Mescolati ancora, con l’opera dell’uomo, del suo costante lavoro. Opera muta, spesso dimenticata, ma che ha forgiato la vallata: l’ha fatta ‘genius loci’. Con quale ‘genialità del sito’? Quella di essere una zona che consente d’intuire, intravedere nel paesaggio atmosfere incomprese.
Vedi, ammiri, il panorama ti sembra omologo e in realtà è un trionfo della diversità.
Quella che affascina per la spontaneità; per come i confini s’intersecano tra acqua e cielo, terre e pareti rocciose, tutte sfumate, l’una nell’altra. Con archetipi naturali decisamente significativi. Che testimoniano una tradizione agricola, una storia intrecciata con viti e vite, tra conservazione e innovazione. In quanto la valle punta sulla tradizione per sviluppare la sua fisionomia, applicando (quasi ) inconsciamente il significato meno noto della parola ‘tradizione’.
Quella dal latino ‘tradizio’, derivazione greca di ‘tradere’, vale a dire consegnare e trasmettere significati che hanno legami con il concetto di ‘tradimento’. Anche se questo è inteso come una ‘consecutio’ della specificità ambientale, per affermare il valore identitario di tutto quanto è legato, è vicino alla propria origine, per ‘aprire alla luce la terra natale’.
Lecci, ulivi, soprattutto viti. Poche altre località alpine possono vantare un culto della vite così singolare. Viti e vini di un luogo, tra acque e brezze benefiche.
Una vallata dove i filari quasi si confondono nell’azzurro degli specchi d’acqua e il terso cielo blu alpino. Viti da secoli coltivate su campi strappati alla montagna. Su terrazzamenti che hanno fortunatamente impedito lo sfruttamento intensivo del territorio.
Qui non si vedono vigneti senza imperfezioni. L’estetica è ancora frutto della mano dell’uomo, del vignaiolo.
Mano sicura ha piantato ‘ad occhio’ il filare, rispettato il crinale della collina, la (giusta) direzione dell’esposizione verso il sole del pomeriggio.
Ecco perché tuttora in questa vallata i vini si distinguono in quanto raccontano il territorio dove nascono. Racchiudono saperi. Non solo sapori.
Tutta la comunità di valle è orgogliosa della sua variegata specificità colturale. E cerca di compattare quella culturale. Ostentando i suoi campanili, presìdi del paesaggio. ‘Colonne portanti’ del panorama, tanti emblemi d’identità.
Sano campanilismo che anche nel vento porta con sé accenti fonetici, ritmi della parlata. Modi di dire, modi di fare.
Ma come capire questa vallata? Basta lasciarsi guidare dal paesaggio. Usando il vento, l’Ora. Brezza, folate che trasmettono voci, suoni, condizionano microclimi, e quindi colture e culture. Senza barriere invalicabili.
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