Le storie del Ravanello
di Enzo Gambin
Il ravanello, o rapanello, è ortaggio dalla piccola radice globosa, sferica o leggermente a trottola, con lunghe e fini radici; la sua buccia ha colore rosso o rosato, la polpa è bianca, croccante e leggermente pungente, ricca di sostanze salutari per l’organismo umano. Sopra terra, il ravanello è un cespuglietto di foglie dentellate, dal sapore fresco e lievemente pepato.
Il nome di ravanello è una derivazione morfologica diminutiva di “ràfano” o “ravano”, termine che raccoglie più piante che hanno radici commestibili, però, la botanica indica solo due piante, il “ramolaccio”, “Armoraccia rustinaca”, conosciuto anche come cren o barbaforte, dalla radice bianca, e il ravanello, “Raphanus raphanistrum sativus”, dalla radice rossa o rasata o nera. Ramolaccio e ravanello appartengono alla famiglia delle brassicaceae o crucifere. La denominazione sottospecifica di “sativus” per il ravanello, letteralmente significa “che va seminato”, specificando così che è una pianta coltivata e non spontanea.
La dizione “ràfano” sembra provenire dall’antica Persia, luogo di probabile prime coltivazioni, dove era identificato come “rafe”, il cui senso letterale significa “che spunta veloce”, forse per la facilità con cui germinavano i semi di questo ortaggio.
I Greci presero questo nome, lo adattarono alla loro lingua, e divenne “ῥάϕανος”, “rafanos”. Nell’Italia latina il ravanello mantenne la voce di “raphănus” e così giunse a noi come “ràfano”, poi ingentilito per la sua forma ridotta e tondeggiante come ravanello o rapanello.
Come sovente accade, le ipotesi di questo percorso etimologia non è stato sempre condiviso, infatti, alcuni studiosi vedrebbero in “ῥάϕανος”, “rafanos”, una derivazione dal termine greco “ῥίζα”, “rhiza”, che vuol dire “radice”, unita al verbo “φαίνω”, “phaíno”, con il significato di “produrre o mostrare”, da cui il significato di “pianta che produce radici”.
Quello che è certo è che già anticamente si parlava di ravanello, tanto da entrare in uno dei più conosciuti vaticini del periodo arcaico dell’oracolo di Delfi, il quale manifestò al dio Apollo le proprietà di talune radici: “Il ravanello vale il suo peso in piombo, le barbabietole il suo peso in argento, il ràfano il suo peso in oro.”
Erodoto di Alicarnasso, 485 a.C. - 424 a.C., definito da Cicerone “il Padre della Storia” ci informò che i Faraoni avevano dato disposizione che gli operai impegnati nella costruzione della piramide di Cheope si cibassero di ravanelli e aglio, perché considerati dei presidi medici.
Da considerare che la Piramide di Cheope, conosciuta anche come Grande Piramide di Giza, è stata costruita come sepolcro del faraone Cheope che ha regnato intorno al 2560 a.C..
Marco Porcio Catone, 234 a.C. - 139 a.C., nel suo “Liber de agricultura” divulgò la coltivazione del rapanello nei suoi trattati sull’agricoltura “Liber de agri cultura”.
Un secolo dopo, Publio Virgilio Marone, noto semplicemente come Virgilio, 70 a.C. – 19 a.C., descrisse nella “Appendix virgiliana” il regime di vita di un contadino, il suo l’orto e lì troviamo il ravanello: «C’era un orto attaccato alla capanna, protetto da pochi vimini (…..), piccolo per estensione ma fertile di erbe varie. Non gli mancava nulla di quel che richiede la condizione di una persona modesta (…) Se qualche volta la pioggia o il giorno festivo lo trattenevano inoperoso nella capanna, se per caso la fatica dell’aratro veniva a mancare, si dedicava al lavoro nell’orto. Sapeva collocare le varie piante, porre i semi nella terra e creare intorno dei rivoletti. Qui il cavolo, qui crescevano le bietole che stendono in largo le loro braccia, il romice esuberante, le malve e gli elenii, qui la pastinaca e i porri che devono il loro nome al capo, la lattuga che è intervallo gradita di nobili cibi (..…) e cresce il ravanello appuntito e la zucca che scende pesante nel largo ventre (…)».
Dioscoride Pedanio, I secolo d.C., citato da Dante come «buon accoglitor delle qualità delle erbe», medico e botanico greco vissuto nella Roma imperiale, per gli studiosi catalogò il “ràfano” come “Persicon sinapi” o “Sinapi persicum”, ma noi possiamo anche considerare che il “Persicon sinapi”, che tradotto è “senape persiana”, sia il “ràfano” selvatico, dal sapore pungente; mentre il ravanello sarebbe il “Sinapi persicum”, ossia “senape albicocca” probabilmente per il suo colore lievemente rosato.
Plinio il Vecchio, 23 - 79, nella sua “Historia naturalis” parla di “raphanus”, riferendosi al ravanello selvatico, che identificò come “armoracia”, ne utilizzava le foglie per le virtù medicinali, ma le considerava “cibus inliberalis”, “cibo gretto” suggendo di consumarle con le olive.
In epoca romana e nel primo Medioevo il ravanello aveva poco a che fare con le varietà odierne, risultato di un lungo periodo di selezione massale che attuarono gli ortolani lungo quasi sei secoli.
Il Ravanello rimase sino a tutto l’Ottocento una coltivazione familiare, tanto che incuriosì poco anche gli attenti erboristi del Rinascimento.
Carl Nilsson Linnaeus, più conosciuto come Linneo, 1707 – 1778, il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, identificò il ravanello come “Raphanus raphanistrum subspecies sativus”.
Non dobbiamo però pensare che il ravanello rimase con le mani in mano e non si diede da fare per essere conosciuto anche fuori degli orti e cucine familiari.
A poco a poco entrò come ingrediente in molti piatti nazionali francesi, olandesi, tedeschi e l’imperatore Pietro I, 1672 – 1725, in un suo viaggio a Parigi lo trovò tanto squisito da portarselo in Russia, trovando lì una grande diffusione.
Ciro Pollini, 1782 – 1833, medico e autore della più ampia opera dedicata alla flora del Veneto, nel suo “Catechismo Agrario” del 1819, riportava così la coltivazione del “ravanello”: « (…) Di rafani avvi due principali varietà, l’una detta radice, rafano, ramolaccio (volg. ravano ) a radice maggiore, l’altra a piccola radice chiamata radicine, ravanelli (volg. ravanini). Variano nella forma ora tonda ora fusiforme, e pel colore esterno bianco o rosso o violetto o nero. Quest’ultima è meno dell’altre dilicata, e più resiste al freddo. (….) si affidano al terreno ai primi di marzo. Negli orti si possono seminare insieme agli spinaci e a presso che tutti gli erbaggi, che richiedono più mesi a giugnere a maturazione. (….)».
Oggi abbiamo tante varietà di ravanelli, con colori e forme diverse, radici tonde e rosse, na pure rosa, gialle e nere.
Il ravanello entrò nella ventesima edizione dello Zecchino d’Oro del 1977, con la canzone “Rapa – Rapanello”: «Tra le rose di un giardin / Nacque un rapanello/Disse allora il poverin Come voi son bello (….) Rosa Tea era lì bella e silenziosa/ Rapanello fu così che la chiese in sposa (….)», testo di Luciano Beretta.
Nel 2001 ecco un film comico, “Ravanello pallido”, diretto da Gianni Costantino e interpretato da Luciana Littizzetto e Massimo Venturiello.
Poi ci fu un portale della Canzone italiana “Cipollina e Ravanello”, di Cherubini – Sforza.
Dal 2011 il ravanello iniziò un food blogger, vale a dire un “diario del cibo”, “Ravanellocurioso” dello chef Anarco Vegan, dove «Ravanello Curioso trascorre piacevoli momenti in cucina, per passione, per condividere il piacere e per offrire esempi tangibili e degustabili».
Dopo millenni il ravanello è ben presente nella cultura e nelle tavole e in primavera è sempre presente in mazzi sui banchi di vendita, tondo e rosso, croccante e piacevolmente piccante.
Lo stesso sapore lo ritroviamo nelle sue foglie, che si possono consumare in insalate, in zuppe e in frittate.
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