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Un Vinitaly tutto da meditare... forse per innovare?

di T.V.

Finalmente, dopo l’oscurantismo, forzato, di una pandemia che ha angosciato l’intera umanità, sarà Vinitaly. La 54ma puntata di un evento che ha trasformato la viticoltura e le attività enologiche nel mondo intero. In sostanza una manifestazione che ha fatto storia, che è essa stessa storia. Una vetrina che ha avuto, e continua ad avere, nonostante tutto, imitazioni, e concorrenti (Bordeaux, Bari, Düsseldorf, Milano, Torino, Parigi, Parma, Bologna, ecc.) inizialmente di interesse, sbiadite (o logorati) dal tempo.

Costatazione che non può non cancellare le rughe di questa rassegna oggi, più che nel recente passato, divenuta la ‘pallida’ espressione di quello che era, o che sarebbe dovuto e potuto essere, per stare al passo con i tempi e le irrefrenabili trasformazioni del mercato, interno e internazionale, delle tecniche di allevamento della vite, di quelle di lavorazione delle uve, conservazione dei mosti, imbottigliamento e invecchiamento del prodotto finito.

In sintesi, oggi il Vinitaly è l’ombra di quello che avrebbe dovuto e potuto essere. Non più una vera ‘piazza d’affari’ ma, solo una kermesse di degustazioni, di pubbliche relazioni (??), di rinnovamento d’immagine per coloro che vi partecipano.

Al di là, non si vive più l’afflato della moltitudine di organismi che, da decenni, sull’onda dell’affermazione culturale e economica del vino (ricordiamo che solo il nostro export la toccato i 7 miliardi €). Parliamo delle organizzazioni della sommelerie, italiana e internazionale, dell’universo degli enologi, soprattutto delle generazioni emergenti, di quanti hanno contribuito all’affermazione della cultura enologica a tutti i livelli (Slow Food che, guarda caso, oggi transfuga da Verona Fiere, collabora, oggi, con Fiere Bologna nella organizzazione, dal 27-29 marzo, di Slow Wine Fair, Confraternite Enogastronomiche alla cui ‘goliardia’ è da accreditare la nascita dei wine lovers, ecc.), dall’universo della ristorazione, iniziando dalle varie sigle che li accomuna (Buon Ricordo, Soste, Ambasciatori del Gusto-ADG, Amira, Ciao Italia 2.0, Air, Fipe, ecc.).

Carenze che hanno livellato, purtroppo in basso, l’entusiasmo, ma anche il dinamismo commerciale delle imprese, che si viveva nelle giornate di Vinitaly, ancorché riservate ai visitatori professionali, rendendo quasi anonima la presenza di quella miriade di imprese, soprattutto di piccola e media dimensione, che non avevano convenienza a sostenere gli oneri della partecipazione, nonostante fossero il volano di quella innovazione, non solo nella comunicazione, che si richiedeva al prodotto finito.

Considerazione che ha comportato all’allontanamento di importanti fasce di operatori motivati dalla ricerca di etichette ‘sconosciute’, come avveniva nel recente passato, quale segno distintivo dell’originalità, e della accurata selezione, delle loro proposte.

In questo gioco delle parti, un ruolo affatto secondario ha anche avuto la costante ‘scrematura’ degli organi e dei professionisti dell’informazione che ha colpito ‘alla cieca’ anche i media on-line, di sicuro fra i più dinamici e tempestivi divulgatori dei veri valori di una manifestazione, assurta, nel tempo, a simbolo di una produzione che incarnava i valori della qualità della genuinità e della salubrità. Concetti venuti meno anche a causa di una convegnistica che ha ‘dimenticato’ molti dei temi di più stringente attualità per affidarsi a quelli generalisti e, sovente, inutili e scontati. Quindi privi di mordente e di richiamo.

Le ‘animazioni’ collaterali poi (leggi, ‘il villaggio della enogastronomia’, le ‘degustazioni’ organizzate e portate avanti dai maggiori media nazionali e esteri, i numerosi ‘grappa tasting’ che hanno rappresentato un forte richiamo per l’affermazione nel consumo, ragionato, delle acqueviti e dei distillai made in Italy, e via dicendo).

In sostanza, il Vinitaly prossimo venturo necessita, come molti auspicano da tempo, di un generale ripensamento del proprio futuro, come si conviene ad una partecipata di una Società per Azioni e, in particolare, ad una città che da Vinitaly ha ricevuto ricchezza e fortuna, così l’intera economia regionale e nazionale.

Assioma che impone la radicale riconsiderazione dei contenuti e della formula stessa della manifestazione per riportarla al suo originario ruolo di volano promozionale e commerciale prima che gli altri (concorrenti) comprendano le sue debolezze e, avvierebbe la sua definitiva debacle, la sua inutilità, con tutto quello che ne consegue, per la città di Verona e lo stesso comprensorio economico veneto.

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