Fresca e selvatica: è l'Acetosella
di Enzo Gambin
L’acetosella, nel gusto e nella sostanza, è l’ingrediente principe delle insalate primaverili; nei campi è facile trovarla tra i luoghi incolti.
È una pianta perenne e spontanea e deve il suo nome al sapore acidulo dei suoi steli, che si rifà al latino “acetum”, “aceto”; quello scientifico, Oxalis acetosella, e deriva dal greco “ὀξύς”, “oxys”, aspro, e “ἅλς”, “hàlis”, sale.
L’acetosella, infatti, contiene un’elevata quantità di acido ossalico, già anticamente utilizzato come sbiancante dei tessuti e della paglia.
Gli Egiziani consideravano quasi miracolose le proprietà terapeutiche dell’acetosella, la usavano per la cura delle infezioni, delle febbri, negli avvelenamenti.
Evidenze delle facoltà curative dell’acetosella si trovano negli scritti “Rimedi contro i veleni animali” e “Antidoti” del medico e poeta greco Nicandro di Colofone, III-II secolo a.C., che ha una profonda attenzione nel consigliarla, in quanto posta sotto la protezione di divinità come Demetra, Poseidone e Zeus saettante,
L’acetosella prendeva anche il nome di “pancucolo”, probabilmente per la credenza che il cuculo, uccello magico e messaggero di Era, dea dell’amore, per poter cantare e predire il futuro doveva prima nutrirsi di foglie di questa pianta.
Da qui il connubio tra acetosella e cuculo, che sono simbolicamente legati alla rinascita della natura e alla fertilità della terra.
I druidi celti avevano per l’acetosella una considerazione sacra, in quanto la associavano per la formazione trilobata delle sue foglie alla Triplice Dea, la divinità femminile che rappresentava la nascita, la vita e la morte.
San Patrizio, 389 – 461, quando portò il cristianesimo nelle terre celtiche e in Irlanda, mantenne queste radici culturali e si rifece all’acetosella per illustrare il principio della Trinità, fondendo così elementi pagani ed elementi cristiani.
I Celti collegavano l’acetosella agli elfi dei boschi, chiamati Leprecauni, dei piccoli folletti, che vivevano una vita solitaria nella boscaglia, erano innocui e schivi, a volte dediti alle burle e agli scherzi; pure l’acetosella cresce spontaneamente nei luoghi freschi e ombrosi del sottobosco, sulle ceppaie marcescenti, ai piedi degli alberi e su pendii umosi esposti al Nord.
Ancora oggi, in Irlanda, le rappresentazioni dei Leprecauni sono uniti a una foglia di acetosella, proprio ad indicare che accanto al monto fatato e occultato vi è anche un regno vegetale, altrettanto segreto.
Nel Medioevo, quando si dava una grande importanza alla colorazione delle pietanze, i cuochi facevano affidamento sull’uso delle foglie di acetosella per ottenere dei bei verdi, raccoglievano le foglie nel periodo primaverile, quando erano ancora giovani e tenere, e gli steli freschi, tra maggio e giugno, dal sapore delicato tra l’aceto e il limone.
L’acetosella si presenta come una pianta delicata, fiorisce da aprile fino a giugno, e ha un fascino speciale perché durante le prime ore del mattino fa oscillare le sue foglie, che sono l’unione di tre piccoli cuori, per salutare il nuovo giorno e di notte le richiude.
Con il sole cocente e all’imbrunire si serrano anche i fiori, bianchi striati di rosso a cinque petali, che dondolano verso il basso, forse mossi dal desiderio di coricarsi.
Questo suo comportamento ha valso all’acetosella anche il nome di “bella addormentata dei fiori”, proprio come nella “Bella Addormentata nel Bosco”, facendo così dell’acetosella la principessa dei fiori.
Questo modo di fare, che è caratteristico dell’acetosella, non è altro che un adattamento della pianta all’ambiente, un elaborato meccanismo di difesa, che chiude le foglie, come un piccolo ombrello, affinché le grosse gocce dei temporali non le appesantiscano e le spezzino.
Poi piega i suoi fiori gialli, rosa e bianchi, quando il calore troppo elevato del sole potrebbe danneggiare le sue corolle.
In questo suo modo di preservarsi in vita, in un eterno fuggire dai pericoli della natura, il linguaggio dei fiori ha valso per l’acetosella il significato di protezione e amore materno.
Già gli antichi Romani avevano già dedicato l’acetosella a Venere, dea dell’amore, attribuendole le capacità di proteggere le giovani madri, tanto che era usanza regalarla alle donne in attesa del parto.
L’acetosella raffigurava anche la conclusione delle preoccupazioni e la rinascita perché, dopo le intemperie, riapre al sole foglie e fiori, un po’ come fa l’arcobaleno dopo la tempesta.
Un testo rinascimentale che menziona specificamente l’acetosella è l’”Historia Plantarum Universalis” pubblicato nel 1597 e redatta da John Gerard, 1545 – 1612, dove si discuteva delle caratteristiche botaniche e delle proprietà medicinali di varie piante, inclusa l’acetosella.
La sua opera è una delle fonti importanti per la conoscenza delle piante e delle erbe medicinali del Rinascimento.
Dalle foglie di acetosella si ricavano un infuso depurativo, una bevanda dissetante simile alla limonata e se consumate crude calmavano la sete in caso di mancanza d’acqua e disinfettavano le piccole ulcere del cavo orale.
L’acetosella era raccomandata per quelle proprietà diuretiche e depurative che favorivano l’eliminazione delle tossine e dei liquidi in eccesso dall’organismo, aiutando reni e vie urinarie a mantenersi in salute; era consigliata anche per le sue proprietà digestive, che contribuivano a ridurre i gonfiori addominali e limitare l’acidità di stomaco.
Le credenze popolari hanno poi creato un alone di mistero sull’acetosella, che è stata vista come una pianta che elargisce la fortuna e, per ottenerla era necessario farla crescere, poi essiccare le sue foglie e porle in un sacchettino e portalo sempre appresso.
L’acetosella entra in uno dei romanzi più importanti di Gustave Flaubert 1821 –1880, “Madame Bovary. Mœurs de province”, che tratta dell’inconciliabilità di realtà e fantasia, della distanza incolmabile tra sogni e vita quotidiana: “Quando giunsero a casa, il pranzo non era ancora pronto. La signora andò in collera. Nastasia rispose con insolenza. «Se ne vada! Questo è prendere in giro, lei è licenziata!».
Il pranzo consistette in una zuppa di cipolle e in un pezzo di vitello all’acetosella.
Charles, seduto di fronte a Emma, fregandosi le mani con aria soddisfatta, disse: «Com’è piacevole ritrovarsi a casa propria!»”
Abbiamo anche due sorgenti d’acqua che richiamano nel nome e negli effetti i benefici dell’erba acetosella, una è la fonte dell’Acqua Acetosa, a Roma, nel quartiere Parioli, particolarmente gradita da papa Paolo V, lo ricorda una Sua lapide, posta nella fontana: “Renibus et stomacho, spleni corique medetur Mille malis prodest ista salubris aqua” “Questa acqua salubre è medicina dei reni, dello stomaco, della milza e dei cuore ed è utile per mille malattie”.
Poi vi è la Sorgente dell’acqua Acetosella di Castellamare di Stabbia, celebrata da Plinio il Vecchio, 23 – 79 d.C., quando raccontò delle “acque medicinales” nella la sua “Naturalis Historia”, descrisse questa fonte e la chiamò “dimidia”, perché si trovava in posizione intermedia tra altre due sorgenti.
Il prof. Catalani, agli inizi del 1900, utilizzò quest’acqua nella sperimentazione clinica su alcuni suoi pazienti concludendo che: “…l’acqua Acetosella di Castellammare di Stabia è un’eccellente acqua dietetica…”ed è molto utile “… alla digestione, alla diuresi all’attivamento del ricambio materiale…”.
Quest’acqua è ancora oggi utilizzata e commercializzata come acqua minerale naturale, medio minerale, bicarbonata, calcica, magnesiaca, effervescente naturale.
L’acetosella entrò anche nelle poesie di Merja Virolainen, 1962,
“Sono ragazza, che bello!”
Sono ragazza, che bello
appena ascesa in terra
coi capelli sabbiosi di sparto,
…
l’acetosa fa spazio
nella sua marsina, s’inchina,
il canneto sussurra di me, bruisce,
le maestà in altoparlanti fogliose
frangono l’infinito discorso ufficiale
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