Pojer e Sandri di Faedo
di Nino D’Antonio
Negli anni Settanta, Salvatore Maule ha avuto compagno di scuola nell’Istituto di San Michele all’Adige, Mario Pojer. Poi la vita li ha divisi, anche se il lavoro li ha fatti ritrovare sul comune fronte del vino. Maule, come docente di Esercitazioni di Chimica Enologica, nonché coordinatore delle Attività Integrative della scuola, e Pojer, titolare con Fiorentino Sandri dell’azienda che porta i loro nomi e che opera da ben quarantatre vendemmie. E non solo nel settore del vino tout court, ma degli spumanti, degli aceti e delle grappe.
Dietro, c’è l’impegno e l’orgoglio dei due giovani che vogliono imprimere una svolta di qualità (ma direi anche d’identità e di prestigio) ai vini del Trentino, troppo a lungo mortificati da una produzione confusa e scadente.
Le premesse per l’avvio di Pojer e Sandri non sono tuttavia delle più entusiasmanti. Il primo può contare su una preparazione tecnica di sicuro livello, maturata negli anni di scuola a San Michele, e l’altro su appena due ettari di vigneto, ereditati alla morte del padre. Il resto, è tutto affidato alla caparbia volontà di fare. Che via via si concretizza nell’allargare l’interesse, e quindi la ricerca, anche al di là dei classici Muller Thurgau e soprattutto della Schiava, allora il vitigno più diffuso.
L’acquisizione dei primi terreni si rivela subito piuttosto laboriosa. La proprietà nel Trentino è piccola e frazionata, per cui mettere insieme qualche ettaro richiede spesso più atti notarili. Ma i due non demordono, e oggi la Pojer e Sandri di Faedo può contare su trenta ettari, tutti in collina, ma divisi in ben sei comuni.
In cambio, i vini coprono quasi tutte le tipologie più tipiche del territorio: Chardonnay, Nosiola, Traminer, Pinot Nero, Muller Thurgau per un totale di duecentocinquantamila bottiglie, fra vini, spumanti, distillati e frutta. Il 25% della produzione è destinato al mercato estero, ma la stessa percentuale viene venduta in un rapporto diretto con la clientela.
E qui non si può trascurare il fascino e la magia, direi, che esercita la sede della Pojer e Sandri. La quale – a cominciare dal lungo caveau in pietra viva, ricavato all’interno della montagna, per ospitare quelle bottiglie che fanno la storia dell’azienda – offre imprevedibili spazi, che rendono quantomai suggestiva l’immagine della Cantina. Un solo esempio, la superba raccolta di stampe di Durer all’interno del grande ascensore per i piani superiori.
Oggi l’azienda si è aperta al contributo della nuova generazione. Pojer ha due figli: Matteo - studi di Enologia in Germania - e Marianna, che cura la comunicazione e l’accoglienza. Ma anche due figli di Sandro lavorano in cantina, mentre la più giovane studia gastronomia a Parma. Questo ha consentito un margine di libertà ai due fondatori, che profittano per andare alla scoperta dei vini nel mondo.
L’ultima esperienza è stata in Georgia, e Pojer è rimasto colpito dall’accoglienza ricevuta in aeroporto. A tutti i viaggiatori, senza alcuna distinzione, è stata offerta – all’atto del controllo passaporti – una bottiglia con l’etichetta “Facciamo vino da ottomila anni”.
Sarebbe un esempio da imitare, per un Paese come l’Italia, leader mondiale del settore.
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