Famiglia Tonon, ambasciatori della Marca gioiosa (e golosa)
di Giancarlo Saran
Nei mesi scorsi hanno festeggiato i loro primi cinquant’anni di attività, senza particolari clamori mediatici o fuochi d’artificio, come nello stile discreto e operoso di sempre. Eppure, se vai a scandagliare un po’ la storia della famiglia Tonon, per tutti “Da Celeste” a Venegazzù, due passi dal Montello, è una miniera di scoperte su cui vale la pena fare un viaggio a volo radente, con pieno merito, come certificato da due testimoni che li conoscono da sempre. Annibale Toffolo, autorevole gastropenna, “la loro è una cucina ben radicata nella tradizione locale, ma anche armoniosamente aggiornata al vivere d’oggi”. Beppo Zoppelli, storico ambasciatore dell’Accademia Italiana della Cucina, “una carovana di attenti e capaci professionisti della ristorazione che onorano la nostra terra in giro per il mondo, una nave da crociera in grado di navigare su tutti i mari con qualsiasi tipo di passeggero”.
Ma torniamo alle radici. Si parte dal secondo dopoguerra. Papà Dante, originario di Candelù, è capocantiere di una importante impresa edile che contribuisce alla ricostruzione di quella che Dino Buzzati aveva definito “la piccola Atene”.
Tra una impalcatura e l’altra Dante esercitava la sua passione culinaria quale responsabile anche della mensa dei suoi colleghi, perfezionandosi nel fine settimana in una trattoria del Montello. Mamma Maria, invece, è stata una delle prime storiche terziste domestiche del nascente marchio Benetton. In questo clima viene al mondo Celeste, primo di una nidiata di quattro. Al dna non si comanda e se in famiglia lo iscrivono al prestigioso Riccati, fucina di futuri ragionieri, lui sceglie altre fucine, in particolare quella del Fogher, diretta da una delle grandi madri della cucina trevigiana, Speranza Garatti.
Da lì il passo conseguente.
A 22 anni, nel 1972, gli si presenta una prima occasione. Rilevare un piccolo casale ai piedi del Montello. Siamo in pieno boom economico. Nei fine settimana, o nelle belle serate estive, le gite fuori porta sono un piacere, se da godere a tavola ancor meglio. Celeste arruola seduta stante il fratello Giuliano, che sta affinando l’arte di pignatta al prestigioso Miramonti cortinese. L’insegna conseguente, Costa d’Oro, in quanto “era un rustico con pergolato di uva fragola che rifletteva la luce dall’alba al tramonto”. I due fratelli bucano lo schermo in breve tempo, come ben descritto da Rina Terrida “la casa antica, dove generazioni di contadini hanno lasciato, tra le vecchie mura, imperituri ricordi, ora vive festante, ricca di umanità, grazie a due giovani sorridenti, nell’aurea età, che manipolano, con mani sapienti, cibi squisiti”. In realtà i rispettivi ruoli ben definiti. Giuliano in cucina mentre Celeste confesserà più tardi “anche se ero un cuoco un po’ timido, decisi di dedicarmi alla sala fin dall’inizio”.
Ambasciatore del talento di famiglia, come dimostreranno poi i fatti. Il Montello ha piccole chicche che meritano solo di essere raccontate e valorizzate da mani ispirate. Storicamente riserva della Serenissima (“Il bosco veneziano”, come ben narrato da Gian Domenico Mazzoccato) era una miniera di funghi (barboni, in primis), erbe spontanee, selvaggina assortita. Le vicende della storia altalenanti. Aperta ai “pisnenti”, la povera gente dei borghi, dopo l’occupazione napoleonica.
Devastata dalla Grande Guerra, estrema terra di confine a far da spalla alle rive del Piave sacro alla patria. Montello che poteva solo risorgere, grazie anche a cucine dedicate. Giuliano si da da fare ai fornelli, Celeste ottimo manager nel valorizzare il passaparola, grazie anche ai vari testimonial che iniziano a prendere confidenza con la loro tavola, figure quali Bepi Mazzotti e l’omonimo Maffioli, come molti altri, del mondo dell’impresa e dello spettacolo, apripista Little Tony che considerava Montebelluna la sua seconda patria. Inizia un crescendo rossiniano. I Tonon vengono ricercati per il servizio di catering, di cui poi diventeranno riferimento a livello nazionale. Nel 1978, a Palazzo Serbelloni, Milano, entrano nel prestigioso circuito dei Piatti del Buo Ricordo, grazie a Massimo Alberini, con lo sformato d’anatra e funghi cavaresi, ma il passaporto dei loro piatti oramai è pronto per spiccare il volo oltre confine. Ad un servizio svolto a Villa Magnolia, Firenze, per la Mostra Internazionale di Antiquariato, incontrano Umberto Nordio, presidente di Alitalia. Apriti cielo, in tutti i sensi.
Che sia stata la pasta e fagioli o il risotto di funghi, vengono reclutati seduta stante per un progetto che vuole promuovere il miglior made in Italy nel mondo, “Visit Italy”. Alitalia è in piena espansione, apre nuove rotte e, per presentarsi, affianca in vetrina moda, design e ovviamente cucina. Si parte con Abidjan (Costa d’Avorio), ma l’idea funziona talmente bene, che il tutto vola poi tra i cinque continenti, dagli States al sud America (San Paolo, Rio de Janeiro), come Medio Oriente (Istanbul, Dubai) sino alle lontane Filippine. “Il segreto era organizzarsi al meglio”, confida Celeste “partivo due mesi prima, verificavo la logistica e capivo poi cosa noi dovevamo portarci in volo, fra attrezzature, personale e materia prima”. Nel frattempo la Costa d’Oro diventa un ricordo, si approda alla Falconera, a Venegazzù. Un antico rustico della famiglia Loredan (tra di loro un Doge, Leonardo) dove alloggiavano gli addestratori del predatore pennuto, ovvero i falconieri (alcuni provenienti anche dalle terre arabe), in quanto per l’aristocrazia dell’epoca era uno dei migliori status symbol di potere e ricchezza in terraferma. Si consolida il rapporto con molte figure che hanno fatto l’epoca della cucina italiana, a partire dal palermitano Angelo Ingrao, in un ideale gemellaggio con il suo Charleston.
Ospiti per una settimana, ad anni alterni, uno nella cucina dell’altro, in una divertente sfida tra sarde in saor e sarde a beccafico; parmigiana e risotti assortiti. Grazie ad una intuizione di Celeste, che va a consolidare un progetto di Beppo Maffioli, prende vita Cocofungo. Primo circuito, a livello nazionale, teso a valorizzare un prodotto. Anni dopo seguirà il Cocoradicchio. La benedizione di Luigi Carnacina, un altro dei padri nobili della cucina italiana, che omaggiandoli del suo libro, scriverà nella dedica “ringrazio di cuore per il pasticcio di fagiano”. L’albo d’oro dei palati fidelizzati è un susseguirsi di oscar culinari. Donna Franca Ciampi, ad un evento realizzato per una vista con il marito a Belluno, entra in cucina e chiede loro la ricetta della pasta e fagioli, di cui il premier Giovanni Spadolini, tra le sale del Quirinale, aveva chiesto … il tris. Quirinale un’altra delle sedi di missionari di cucina dei Tonon, grazie anche ad una arma segreta, il loro risotto giungeva perfettamente sempre al dente, anche se si trattava di servire mille e oltre palati selezionati. Il segreto? Elementare Watson, ma l’importante è arrivarci prima di altri. “In fondo si tratta di dare sequenza cronometrica e precisa alle lavorazioni delle diverse fasi del risotto, suddivise per un ideale pentolone in funzione dei partecipanti”. Quindi, ad esempio, dieci pignatte per mille commensali messe a bollire in una sorta di inseguimento a squadre dove, alla fine, risultano tutti vincitori.
Nel 1981 viene a mancare Bepi Mazzotti. Assieme agli amici di sempre, Beppo Zoppelli e Bepi Maffioli si decide di dare vita ad un premio in suo onore che lo ricordi nel tempo. Primo vincitore Gustavo Selva, che poi diventerà direttore de Il Gazzettino
Nell’albo d’oro nomi quali Mario Soldati, Cesare Marchi. Premio che poi approderà sulle rive del Piave, tradizione consolidata ancor oggi. Tra le innumerevoli iniziative che li vedono protagonisti Venezia tappa fondamentale. Se, un tempo, era la Serenissima a recarsi sul Montello, ora è il Montello, targato Celeste, che approda in Laguna. Banchetti per la grande serata di premiazione de Il Campiello; l’inaugurazione della Biennale.
I Tonon ricercati da marchi quali Pinault o Bulgari, ma nella madeleine dei successi veneziani Celeste si commuove ricordando la serata di inaugurazione della Fenice, dopo il disastroso incendio del 1996. “Servimmo millecinquecento coperti, e per tutti la sorpresa poi di un concerto diretto dal Maestro Riccardo Muti”. Venezia labaro prestigioso con meritata visibilità internazionale, ma con un dietro le quinte che pochi conoscono. “Non è facile la logistica, con il trasferimento di ingredienti e stoviglie, come quella volta che, per la Fenice, mandarono tutto l’allestimento da Parigi, come anche rispettare le stringenti normative applicate all’interno dei palazzi storici”. Percorrere a passo lento ed occhio curioso i locali di Celeste permette di apprezzare anche una galleria fotografica dove appaiono volti abituati a vedere tra giornali e tv. Ecco una giovane Dalila Di Lazzaro “a te un ricordo, a me il piacere di essere ricordata”. Un Celentano delle meraviglie “siete forti come me”. Da Tonon si è convertito ai piaceri di bacco James Brown, devoto cultore sino ad allora di coca cola o poco meno. Ma, su tutti, Celeste ama ricordare i Pooh. Celeste una seconda casa, come i Tonon erano di casa ad ogni presentazione discografica della band che ha fatto l’epoca della canzone italiana. “Un anno, nella loro casa discografica vicino a Milano per un nuovo disco, allestimmo una piccola vigna, pigiando l’uva come un tempo, e offrendo il mosto ai presenti sorpresi e divertiti”. Ora il piatto del buon ricordo recita Cappelletti Conte Loredan. La forma della pasta rinvia al cappello del Doge Leonardo.
Il ripieno di patate e funghi del Montello, il ragù di piccioni e barboni. Quello che sedimenta nel lasciare, in attesa dell’inevitabile buon ritorno, la tavola dei Tonon è l’armonia complessiva, che deriva dalla territorialità della cucina, di stagione in stagione, come l’ospitalità sempre sorridente e discreta in un gioco di squadra testimone di professionalità e impegno di tutti i protagonisti.
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