Il Baccalà
di Giancarlo Saran
Nelle Terre Serenissime tutti lo chiamano baccalà, che sia mantecato, alla veneziana, o cotto a lento bollore con latte e olio alla vicentina, anche se, in realtà, dovrebbe recitare stoccafisso, in quanto arriva dalle lontane terre norvegesi, debitamente essiccato ai venti del nord, e da secoli presente sulle nostre tavole. Recita un antico adagio da sempre nelle memorie di famiglia “Se i mari fosse de tocio/ e i monti de poenta/ ohi mama che tociade/ poenta e bacalà”. Una storia che affonda le radici nel mito. L’arrivo dello stoccafisso a Venezia grazie a Piero Querini, che naufragò con il suo mercantile nei mari del nord, accolto con i suoi marinai superstiti dalla generosa popolazione delle Lofoten che gli regalò poi un po’ di “bastoni” essiccati con cui ritornare nelle terre di San Marco. In realtà, quello dello stoccafisso, è un bellissimo esempio di “ponte tra i popoli” a cavallo di storie, tradizioni, usi e costumi diversi. E’ per rendere omaggio a questa antologia pregna di mille testimonianze che è nato “Stockbridge”, liberamente traducibile in “ponte stocco”, con testimone un altro ponte che ha fatto la storia, quello degli alpini a Bassano del Grappa. Una tre giorni che ha visto convergere sulle rive del Brenta Confraternite baccalanti da varie parti d’Italia, così come ambasciatori del popolo Sami, ovvero i Lapponi norvegesi, che, da sempre, si occupano della pesca e lavorazione del merluzzo. E’ un progetto che parte da lontano. Promotori lo storico bassanese Otello Fabris e l’eclettico baccanologo Andrea Vergari, un trentino fondatore, a suo tempo, della International Stockfish Society. Un personaggio da sempre di casa a Bergen, lo storico porto commerciale da cui partiva la flotta della Lega Anseatica per trasportare lo stoccafisso in Europa con mete privilegiate le coste italiane. Fabris, tra l’altro Presidente del Macanicorum Baxanensium Collegium (una sorta di buona accademia culinaria bassanese), e Vergari, nella vita reale stimato medico dentista, hanno visto realizzato il loro sogno, ovvero di valorizzare lo stoccafisso con degno riconoscimento dell’Unesco, lo scorso anno ad un convegno realizzato a Cittanova, sotto l’abile regia dell’Accademia dello Stoccafisso di Calabria guidata dal bravo Enzo Cannatà, cuoco per scelta e vocazione, dedito da sempre a tradurre al meglio lo stoccafisso sulla tavola del suo locale. Ne era nata la firma, con ben venticinque associazioni aderenti, per proporre la candidatura dello stoccafisso a patrimonio immateriale dell’umanità per l’Unesco. Bassano del Grappa il passo conseguente. La data non certo scelta a caso, posto che il 17 giugno è la giornata di festa nazionale della Norvegia, rappresentata dalla referente locale per l’Unesco, Inger Maren, e dagli ambasciatori della comunità Sami, rigorosamente con abbigliamento tradizionale, tra cui il rappresentante della federazione dei pescatori di stoccafisso. Varie le manifestazioni di contorno. Un’ ampia e golosa vetrina della cucina bassanese con le sue varie eccellenze, l’asparago in primis, passando poi ad un ideale gemellaggio tra la cucina norvegese e le diverse interpretazioni del baccalà (o stoccafisso) non solo a livello triveneto, ma pure di altre regioni, dalla Campania sin giù alle terre calabresi. Come hanno voluto ricordare i relatori, in primis Fabris e Vergara, la candidatura Unesco ha un significato che va ben oltre il puro aspetto culinario. Rappresenta una sorta di valorizzazione della “geopolitica del cibo”. Alcuni esempi. La popolazione Sami è sempre stata, per certi versi, marginale nella realtà scandinava, occupandosi prevalentemente di caccia (la renna) e di pesca (lo stoccafisso). Negli ultimi anni anche ai confini delle terre polari la pesca intensiva del merluzzo rischia di stravolgere equilibri e tradizioni consolidate. La lavorazione non avviene più in loco, ma in terre d’oriente, per essere poi svilita, quantitativamente e qualitativamente, destinata al prodotto congelato per i grandi marchi commerciali. Vi è allo studio anche una sorta di “dado”, con il concentrato di baccalà tutto da verificare, buono per brodaglie di dubbia qualità. Eppure ve ne sarebbero di storie da scoprire nella lunga tradizione che accompagna le vicende del baccalà (o stoccafisso). Nelle zone di pesca norvegesi era considerato moneta di scambio, poco consumato quindi a tavola, con le merci (carne e ortaggi) che arrivavano dal continente. l’Italia, maggior “azionista” e importatore può vantare una straordinaria varietà di riletture gastronomiche a tutta penisola. Se al nord l’ammollo avviene pazientemente tanto che, poi, “un bon bacalà ga da esser batuo da un mato”, in Calabria, grazie alle sorgenti che scendono dall’Aspromonte, l’ammollitura avviene in maniera naturale. A Messina lo Stocco alla ghiotta non lo batte nessuno e così via baccalando risalendo la penisola, tanto che, a Napoli, i baccalajuoli sono intrigante (e golosa) realtà ambulante quotidiana. Vi sono poi curiosità che fanno la differenza. Anche del baccalà, come del merluzzo, non si butta via niente. Sulle frattaglie vi è una antologia incredibile. Alle Lofoten era tradizione che i bambini, usciti da scuola, si guadagnassero la paghetta spulciando la lingua del merluzzo con apposito uncino che poi, conservata sotto sale, prendeva le vie del mondo. Con la testa, in Nigeria, si realizzano delle zuppe che, grazie alla ricchezza di vitamine e proteine, fanno le veci dell’introvabile carne, tanto che la testa di merluzzo ha salvato molti villaggi durante la tragedia della guerra civile in Biafra. Ecco allora che il merluzzo, lo si chiami baccalà o stoccafisso, ha tutti i labari per meritarsi la promozione a patrimonio dell’Umanità per l’Unesco e, nella citazione della staffa, immancabile la battuta del comico toscano Paolo Poli. “Una mummia commestibile? Sicuramente il baccalà”. Provare per credere. Per chi volesse saperne di più stockfishsociety.org
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