Rossi, neri, blu: sono i favolosi mirtilli
di Enzo Gambin
Rossi, neri, blu: sono i favolosi mirtilli
Tremano i rami del mirtillo
tremano inquiete le bacche:
nascoste tra le foglie
si raccontano i loro segreti.
All’interno di un mondo incantato, i versi di Rabindranath Tagore, 1861 – 1941, poeta bengalese, dipingono il mirtillo con un’aura di inquietudine e mistero. Le sue parole evocano l’immagine delle bacche che tremano, nascoste tra le foglie, come se volessero condividere i loro segreti più intimi della natura e del mondo.
Questo atteggiamento sottolinea la capacità dei mirtilli di prosperare in luoghi nascosti e selvaggi e avere ruoli simbolici nelle culture. Il mirtillo non sfugge a queste suggestioni e fa ancora la sua comparsa nel giardino incantato della maga Alcina nell’epico poema “Orlando Furioso” di Ludovico Ariosto, 1474 – 1533, tessendo un filo di mistero e magia tra le pagine di uno dei capolavori della letteratura italiana:
[…]
“Dove Alcina fa spesso caccia, e coglie
Mirtilli, lamponi, more, fragole
E l’erba, l’erbette, i fiori, i frutti, e i rami,
Tutto prodigio è in quel giardin incanto
O d’incanti pieno, e di magie.”
Il mirtillo, con la sua aura misteriosa e il suo sapore incantato, regna come il primo fra i frutti magici e Ariosto ha voluto considerarne la sua magia intrinseca come una sorta di riflesso o rappresentazione del potere seducente della maga Alcina.
Entrambi esercitano un’attrazione irresistibile, sia fisica sia metaforica, su coloro che li incontrano.
Così come i mirtillo incanta con il suo sapore e il suo aspetto, Alcina affascina con la sua bellezza e il suo potere magico, entrambi possono rappresentare un desiderio profondo e inafferrabile, spingendo coloro che li cercano a cadere sotto il loro incantesimo.
Alcina, la potente strega che dimorava sull’Isola di Alcina, era conosciuta per il suo potere straordinario e poteva trasformare gli uomini in animali o piante e conferire loro l’eterna giovinezza.
Attraverso i suoi incantesimi seducenti, intrappolava i cavalieri che sbarcavano sull’isola, facendoli dimenticare le loro responsabilità e i loro doveri.
Parimenti, il mirtillo è associato a una magia più sottile ma altrettanto potente, contiene, infatti, sostanze benefiche che contrastano l’invecchiamento, conferendo vitalità e giovinezza così, nonostante le sue dimensioni ridotte, custodisce grandi benefici per la salute e il benessere.
Plinio il Vecchio, 23 – 79, nella sua opera “Naturalis Historia”, chiamava il mirtillo “vaccinia” e lo descriveva come un arbusto dalle bacche viola o nere: “Est et alia genus silvestris bacae, - sordidis et maculantibus - , nigricantibus rubrescentibusque, quas vocant arbutos et, quae subinde admixta et deciduo ramo, ericam, e quibus eius bacis et alias nobis vocant vaccinia.” – “C’è un’altra specie di bacca selvatica, - di colore viola, nero e rossastro, chiamato “arbuto”, che talvolta si avvinghia con un ramo che poi secca ai rami di “erica”, da bacche che noi e altri chiamiamo vaccinia”.
L’utilizzo del termine “vaccinia” ha suscitato da sempre l’interesse degli studiosi, offrendo varie ipotesi sull’origine di questo nome.
Alcuni la collegano al latino “vaccinus”, con il significato “delle vacche”, in relazione alla credenza che i frutti fossero preferiti anche da questi animali.
Altri hanno proposto che “vaccinium” derivi da “baccinium”, un diminutivo di “bácca”, indicando una pianta che produce “piccole bacche”. Una terza interpretazione giunge da un possibile legame di “vaccinia” a all’antico nome greco “Ὑάκινθος”, “Hyákinthos”, che fa riferimento a una “pianta o frutto dai fiori viola”.
Nel corso del tempo, influenzato da associazioni semantiche o culturali, la forma e la pronuncia di questa parola greca è stata reinterpretate, portandola alla trasformazione in “vaccinia”.
L’attribuzione precisa del termine “vaccinia” alla pianta del mirtillo non è, pertanto, sicura, esisteva anche il termine greco “μύρτιλός”, “myrtilos”, che faceva riferimento all’attuale pianta del mirtillo, per la somiglianza delle foglie e delle bacche con quelle del “mirto”.
Il termine “mirto” deriva a sua volta dal greco antico “μύρτος”, “mýrtos”, che ha però radici nella parola “μύρρα”, “mýrra”, ossia la mirra. A sua volta, la mirra, ha un’origine semitica e proveniene da “m-r-r”, “ma-rara”.
Storicamente, mirra, mirto e mirtillo hanno avuto impieghi diversi. La mirra ha rivestito un ruolo significativo nella storia culturale e religiosa di molte civiltà, era ed è utilizzata per riti e per la produzione di profumi e unguenti. Il mirto è stato associato a divinità e impiegato in cerimonie religiose sia nell’antica Grecia sia nel mondo latino e celtico. Il mirtillo non ha avuto gli stessi riconoscimenti nelle culture mediterranee.
È affascinante notare un’affinità linguistica tra il mirtillo e il personaggio mitologico “Mirtilo”, una storia che è degna di nota.
Nella mitologia greca, Mirtilo, figlio di Ermes, divenne famoso come amico-nemico di Pelope, noto per essere stato il leggendario fondatore del Peloponneso, la vasta penisola nel sud della Grecia.
Mirtilo fu scelto da Enomao, re di Pîsa, per la sua abilità come cocchiere in una corsa di carri. Tuttavia, questa non era una gara ordinaria, Enomao l’aveva voluta per i pretendenti alla mano di sua figlia Ippodamia.
Mirtilo era uno dei partecipanti e gli altri concorrenti dovevano sconfiggerlo per avere il diritto di sposare sua figlia o rischiavano di essere uccisi.
La leggenda narra che durante l’incontro, Mirtilo sabotò il cocchio di Enomao inserendo un cavicchio di cera nel mozzo di una ruota. Questo causò la sconfitta del suo padrone e consentì a Pelope di vincere la possibilità di sposare Ippodamia. Tuttavia, temendo che Mirtilo potesse rivelare il suo segreto, Pelope lo gettò in mare. In onore di Mirtilo, quella parte del Mar Egeo tra l’Attica, la Laconia e le isole Cicladi fu chiamata “Mare Mirtoo”. Questa storia ci ricorda come i miti antichi siano intrecciati con la geografia e la lingua, creando legami duraturi e affascinanti.
Due esempi significativi emergono nell’analizzare i termini utilizzati per indicare il mirtillo nelle lingue araba e ebraica.
In arabo, la parola per “mirtillo” è “توت بري”, “tout bari”; “توت”, “tout”, significa “bacca”, mentre “بري”, “bari”, indica “selvatico o del bosco”, pertanto, letteralmente, “tout bari” si traduce come “bacca del bosco”, riflettendo l’importanza del mirtillo nella regione e la sua associazione con la natura selvaggia.
In ebraico, la parola per “mirtillo” è “אוכמנית”, “ukmanit”; deriva dalla radice “אוכמן”, “ukman”, che significa “pianta”, aggiungendo il suffisso “-ית”, “-it2, si ottiene “ukmanit”, che si riferisce letteralmente alla “pianta del mirtillo”.
Anche in questo caso, il termine riflette l’antica conoscenza e l’uso dei mirtilli nella cultura ebraica, evidenziando la loro presenza nella dieta e nella cultura locali.
Entrambi i termini testimoniano l’importanza dei mirtilli nelle rispettive culture e l’antica connessione tra le parole e le piante che rappresentano.
Il mirtillo, pur non essendo presente nei contesti religiosi mediterranei, ha svolto un ruolo significativo nelle credenze e nei racconti religiosi dei popoli scandinavi antichi durante l’era vichinga. Si riteneva, infatti, che avesse proprietà magiche e fosse associato a Frigg, la dea dell’amore, del matrimonio, della fertilità e della casa. Frigg era la moglie di Odino, il capo degli dei, era quindi anche la regina degli Aesir, i principali dèi dominanti e guerrieri che abitavano Asgard, uno dei nove leggendari mondi.
Nell’antica mitologia norrena, Frigg era considerata una figura materna e protettrice della maternità e della famiglia.
I mirtilli, associati a lei, erano spesso utilizzati in cerimonie matrimoniali o negli incantesimi per attirare amore e prosperità; erano inclusi in pozioni o rituali per la loro associazione con la protezione e la saggezza nelle case. I mirtilli sono stati considerati magici o protettivi in molte culture, si credeva che potessero allontanare gli spiriti maligni, proteggere dalle malattie e portare fortuna.
Le bacche di mirtillo venivano utilizzate in amuleti o sacchetti di stoffa da indossare come protezione personale, sebbene non ci siano prove che fossero impiegati nei sortilegi, la loro natura simbolica e le loro proprietà li rendevano adatti a questi scopi.
In campo letterario, il mirtillo ha rappresentato un simbolo di libertà, come in “Le avventure di Huckleberry Finn” di Mark Twain, pseudonimo di Samuel Langhorne Clemens, 1835 – 1910, dove troviamo: “Le giornate iniziano a scorrere come il mirtillo si srotola in bocca, uno dopo l’altro, finché la natura non esplode”.
In questa immagine, le giornate sono paragonate ai mirtilli e il loro scorrere costante ricorda la delicatezza e la bellezza della vita.
Anche in poesia, il mirtillo ha ispirato diversi autori come Emily Elizabeth Dickinson, 1830 –1886, con
“La rugiada ama il mirtillo”
La rugiada ama il mirtillo
Il vento lo stringe in sé
[….]
La rugiada rappresenta freschezza e purezza, mentre il mirtillo, con la sua piccolezza e valore, sembra quasi custodito dal vento in un abbraccio segreto, è come se la natura stessa danzasse in questo momento delicato.
Henry David Thoreau, 1817-1862, con la sua opera “Mirtilli o l’importanza delle piccole cose”, ha esplorato il significato nascosto dei mirtilli, frutti spontanei di una terra generosa e apparentemente insignificanti, un diario di una relazione tra uomo e il suo «frutto della passione».
Nella letteratura contemporanea il mirtillo sta mietendo successi, come il libro “La linea dei mirtilli” di Paolo Rumiz, classe 1947, un diario di viaggio tra Morava, Danubio e Mediterraneo, che racconta come, da un giorno all’altro, un bosco di mirtilli è diventato un confine nel panorama caotico e contraddittorio dei Balcani degli anni Novanta.
Ancora i mirtilli con “La donna dei mirtilli rossi”, di Susanne Jansson, classe 1972, si racconta come dalle paludi del Nord della Svezia emerse il corpo mummificato di una donna, fu il primo ritrovamento che portò alla scoperta delle proprietà chimiche di quell’area.
Interessante è “L’inverno dei mirtilli” di Stefano Vestrini, classe 1962, l’autore utilizza il simbolismo dei mirtilli come elemento narrativo delle sue esperienze professionali.
Non dimentichiamo “Mirtilli a colazione” di Meg Mitchell Moore dove si analizza il valore della famiglia attraverso le storie dei personaggi.
Per la poesia contemporanea troviamo “La finestra dei mirtilli” del 2019, dove gli autori, Daìta Martinez e Fernando Lena, hanno utilizzato il mirtillo nelle loro poesie, alternandosi nei testi poetici.
“Vorrei un giorno che la finestra apparisse lucida/
e baciandomi tra i passanti,
dalle loro bocche/
tu ascoltassi almeno una parola dolce di mirtilli”.
Fabrizio Caramagna, classe 1969, ha così composto e riassunto le osservazioni sui mirtilli:
“Benedetti siano il sole, i mirtilli profumati e la voglia di chiudere gli occhi per farsi abbracciare.”
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