Santa Caterina d’Alessandria
di Claudio Favaretto
Malgrado le notizie riguardanti la sua vita e la sua morte siano storiograficamente molto incerte, santa Caterina d’Alessandria è una delle sante più venerate in Europa.
Come mai un tale affetto e una tale devozione?
La storia di Caterina, così come ci è giunta, possiede tutte le componenti per suscitare nel popolo i sentimenti più profondi di ammirazione e di amore.
Era una giovane diciottenne, bellissima, colta e di stirpe nobile che per lealtà alla sua Fede rifiutò ogni compromesso con il potere fino ad essere martirizzata.
I dati storici riguardanti la sua vita derivano principalmente da una “passio”, il racconto del martirio, una redazione greca del VI° secolo dopo Cristo, quindi parecchio tarda rispetto agli avvenimenti narrati.
Secondo questa “passio” nel 305 d.C. arriva ad Alessandria d’Egitto Massimino Daia, uno dei tetrarchi secondo l’ordinamento politico creato da Diocleziano. A lui erano state assegnate le provincie di Siria ed Egitto. Naturalmente per celebrare l’avvenimento furono indette grandi feste che comprendevano sacrifici agli dei pagani.
Caterina si rifiutò ed anzi affrontò direttamente il tetrarca invitandolo a conoscere ed adorare Cristo. Per confonderle le idee, Massimino invitò ad un contraddittorio i più sapienti filosofi del tempo, ma Caterina non solo riuscì a tener loro testa ma li convinse ad abbracciare il Cristianesimo e per questo furono massacrati.
Massimino la lusingò proponendole pedrfino il matrimonio, ma ancora una volta la giovane rifiutò. Inviperito per lo smacco subito, il potente la condannò ad un martirio feroce: il suo giovane e bellissimo corpo sarebbe stato straziato da una ruota dentata fino a farla perire tra atroci sofferenze.
Ma anche questo piano fallì per intervento miracoloso per cui lo strumento di tortura si spezzò ferendo i persecutori.
Infiammato d’ira Massimino la condannò infine alla decapitazione. Secondo la leggenda il suo corpo fu portato dagli angeli sul Sinai, sulla montagna che si chiama ancor oggi Gebel Katherin alle cui pendici sorge un monastero a lei dedicato dove sostò anche il papa Giovanni Paolo II il 26 febbraio 2000.
Un’altra tradizione narra che le sue spoglie furono traslate nel Medio Evo in Francia, a Rouen, e deposte nell’abbazia benedettina della Santissima Trinità.
A una biografia così mescolata di dati storici e leggendari si contrappone la realtà di un culto molto antico, testimoniato a partire dall’VIII secolo a Roma, ed estesamente diffuso. Innumerevoli sono i monasteri, le chiese, le abbazie e le località a lei dedicate presenti in Europa. Per quanto riguarda l’Italia, la testimonianza è radicata da nord a sud, partendo dalla santa Caterina Valfurva presso Bormio, in provincia di Sondrio, per procedere ad una santa Caterina nei pressi di Viterbo e per concludere con un’altra nei pressi di Acireale, in provincia di Catania, per citarne solo alcune a titolo di esempio.
Per le sue prerogative divenne la patrona dei filosofi e dei teologi, visto che lei aveva sostenuto vittoriosamente le sue ragioni di fronte ai sapienti pagani.
Ancora per questo motivo divenne la patrona degli studenti universitari, che nei primi secoli di vita delle università dovevano studiare anche teologia.
Ecco perché l’Università di Padova ha nel suo sigillo la figura della Santa a fianco di quella del Cristo.
Anche la Sorbona di Parigi ha Caterina come patrona. Una curiosità: visto che la sua festa liturgica cade il 25 novembre, periodo di discussione delle tesi di laurea, queste in Francia erano chiamate “catherinettes”.
Ma allo stesso modo, non so perché, erano chiamate le apprendiste sarte in Italia, specie a Torino, capitale della moda fino ai primi anni del Novecento.
Considerata la diffusione del culto della giovane martire, è naturale che molti siano stati gli artisti che abbiano rappresentato la Santa: Raffaello, Tintoretto, Caravaggio e tanti altri.
Ma la prima diffusione su larga scala si dovette agli ordini religiosi, specialmente a quelli che si distinguevano per gli studi come i domenicani che a Treviso erano presenti nel complesso di san Nicolò.
La santa si riconosce subito per i suoi attributi iconografici che sono, anche se non necessariamente tutti insieme, la toga dei filosofi, che rammenta la disputa con i dotti pagani, la corona e le ricche vesti a ricordo delle sue nobili origini, la palma del martirio e soprattutto la ruota dentata, intera o spezzata, lo strumento del martirio fallito, la spada con cui fu decapitata.
A Treviso si segnala in particolare la rappresentazione di santa Caterina in una colonna della chiesa di san Nicolò, e un prezioso affresco all’interno di ciò che resta della bellissima chiesa a lei dedicata, oggi sede dei musei civici, che ci mostra la santa che regge il modellino della città per la quale, dice un cartiglio che esce dalla sua bocca, ella prega il suo Dio.
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