I grandi vini della Murola
di Nino D’Antonio
L’ubicazione non potrebbe essere più felice. A non tener conto della storia e della suggestione che l’Abbazia di Fiastra, ai cui confini sorge la Muròla, fatalmente esercita. Così una visita alla cantina si rivela anzitutto un incontro con la tipica Terra dei Piceni, in quello scenario a mezza strada fra i monti Sibillini e l’Adriatico.
Dove la Muròla si sottrae all’immagine standard della grossa azienda agricola, a cominciare dai caratteri della sua struttura e di quella antica facciata, recuperata nella sua integrità con grande sapienza manuale e rispetto per il passato. Un intervento scrupoloso, che si riscontra ogni qualvolta il manufatto meritava di essere salvato. Questo spiega le due facce della Muròla, che ha saputo mantenere nettamente distinti il presente e il passato, evitando ogni discutibile contaminazione. Una scelta che non è estranea agli ampi spazi disponibili.
“Alla suggestione della cantina, abbiamo aggiunto una sala degustazioni, la cui architettura credo che abbia pochi riscontri nel suo genere. Resta l’ampio spazio antistante la struttura, per cui è fatale la sorpresa e l’incantamento che prende i visitatori. Di qui il rito delle degustazioni che accompagna in tutte le stagioni le visite alla Muròla. Ne sanno qualcosa gli inglesi una comunità che vive fra Urbisaglia e Loro Piceno, che hanno eletto la cantina a luogo per i loro incontri e le loro attività culturali”.
L’ingegnere Jurek Mosiewicz è il presidente della Muròla, e parla con estrema discrezione degli interventi realizzati nel corso degli ultimi anni. Certo l’azienda è di quelle che sembrano non avere confini. Perché trecento ettari rappresentano qualcosa che va oltre la linea dell’orizzonte fra boschi, pascoli, seminativo, vigneti, uliveti. Un trionfo di terra e di verde, di colline morbide e di corsi d’acqua, in un ambiente dove la presenza dell’uomo è data solo dalla cura dei campi e da quelle case sparse, che segnano qua e là il panorama.
Muròla è un toponimo che sta ad indicare una fonte d’acqua per abbeverare gli animali. Per cui un tempo la sua presenza accresceva il pregio di un terreno, visto che il lavoro in campagna era in gran parte realizzato con buoi e cavalli. In questa sconfinata azienda, ben sessanta ettari sono destinati da sempre a vigneto. E in particolare a quelle uve autoctone che hanno fatto la storia di queste terre.
“Certo, la Passerina, il Pecorino, la Ribona ( o Maceratino ) fino al Verdicchio costituiscono un patrimonio unico e straordinario, che in molti casi ha rischiato di andare disperso. Ma ci siamo impegnati, consapevoli soprattutto della necessità di salvare un pezzo di storia, strettamente connesso a queste terre. Per cui non sorprende che questi vini trovino mercato al di là dei nostri confini...”.
Due i vitigni tipici dell’Italia centrale, il Sangiovese e il Montepulciano, due Rossi allevati con grande rigore e vinificati in assoluta purezza, entrambi DOC. Ma le Marche sono anche terra di stupefacenti Bianchi, tutti da uve locali, e tutti DOC, dalla Ribona al Verdicchio di Matelica, mentre la Passerina, il Pecorino e il Grechetto, godono dell’Indicazione Geografica Tipica.
A questi Bianchi, decisamente vincenti sul mercato, la Muròla affianca la Passerina (che è il vino più richiesto forse anche grazie all’ambiguità del nome ) e i Rosati, dal Millerose IGT, ricco di note floreali e assai vivace al palato, a Jole, un Rosé brut, metodo Charmat, dal perlage fine e persistente.
E qui vanno segnalati due vini, il Vore e il Lucilliano, entrambi frutto di un’accurata ricerca, che ha visto l’impegno di ben ventisei aziende che - da alcuni anni sotto la guida di Riccardo Cotarella - si stanno impegnando a produrre i primi vini senza l’aggiunta di solfiti.
Ma la Muròla non ha con questo esaurita la sua produzione. Direi anzi che quella che va sotto il nome Ing. Teodoro Bonati (“è un ricercatore vissuto nella Ferrara del Settecento, al quale dobbiamo il logo in etichetta”, precisa Jurek) tende proprio ad avvicinare il carattere e la qualità del vino alle doti dello scienziato. Si ha così il Teodoro rosso IGT. Il Baccius bianco, anch’esso IGt, felice uvaggio di tutti gli autoctoni locali; e il Cama’, un eccezionale Sangiovese che nel nome rende onore ad Agar Sorbatti Bonati, detta dai familiari Cama’, primo ingegnere donna delle Marche, nel 1923.
Resta Jurek, spumante fermentato in bottiglia secondo il metodo classico. E – come recita il motto latino – rappresenta il Dilectum Domini, il Prediletto. In questo caso dell’ingegnere Mosiewicz, presidente della Muròla, visto che ne porta il nome.
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JUREK MOSIEWICZ
Presidente della Murola
Chiamarsi Jurek Mosiewicz stimola sempre qualche curiosità. Così passa in secondo piano l’ingegnere, la presidenza della Muròla – un’azienda di trecento ettari, che fra l’altro produce vini largamente accreditati – e il fatto che da ben tre generazioni porta avanti una fra le maggiori aziende mondiali per impianti di raffreddamento industriale. Tutto questo scompare dinanzi al suo nome polacco.
Incontro l’ingegnere Jurek nelle cantine della Muròla (il nome ci rimanda alla presenza di un abbeveratoio in pietra), confinanti con l’antica abbazia di Fiastra, nel comune di Urbisaglia, Macerata. L’azienda – settanta ettari di vigneti, mezzo milione di bottiglie – produce i classici autoctoni marchigiani, a cominciare dalla Ribona, Verdicchio di Matelica, Passerina, Pecorino e Grechetto. Tutti vini curati con grande rigore, sia nei vigneti che in cantina.
Ed è qui il punto di forza della Murola, il cui Verdicchio è tra i più accreditati delle Marche, a non tener conto del meritato successo – specie nel mercato dei giovani – dello spumante Jole.
E’ ancora una volta il nome a dare l’avvio alla nostra chiacchierata. “Sono nato a Milano, ma mio padre, ufficiale polacco – è stato a lungo l’ultimo superstite della battaglia di Montecassino – occupò a Loro Piceno la casa dove viveva con i suoi genitori mia madre, che allora aveva diciotto anni.
Jurek ha una bella presenza, alto, garbo ed eleganza da vecchio gentiluomo, eloquio di matrice classica a dispetto di una professione tecnica, ha dato prova di una forte carica creativa nelle sale degustazioni della Muròla, con soluzioni d’avanguardia, ma di grande rigore formale.
L’ingegnere ha un arco di interessi senza confini. Ama la musica sinfonica “con preferenza per quella Barocca, più ricca e corposa” ; la pittura, in particolare il Novecento, da Rosai a De Chirico; la letteratura : “leggo tutto. Dai saggi scientifici alla narrativa: Svevo, Borges, Moravia, Pasolini. No, lo sport è meglio lasciarlo stare. Non sono neppure uno spettatore. Amo passeggiare, ma con la sola finalità di osservare, scoprire”.
Si considera uno che si intrattiene a tavola con piacere ( “specie se il cibo merita, bisogna cedere alle tentazioni”). Tra l’altro è un collezionista di testi che trattano della cucina nei secoli, con particolare riferimento a quelle regionali, che più esprimono il territorio.
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