I vini veneti e la cucina tradizionale
di di Nino d'Antonio
A prima vista, è solo una curiosità. Niente di più. E, invece, le forti radici della cucina veneta non sono sufficienti a capire le ragioni del suo immobilismo. Alle spalle, c’è non poca storia, che vuol dire al tempo stesso tradizioni e civiltà di un territorio, che va dalla Laguna alle Dolomiti.
Ma in senso opposto, il quesito si pone anche per i vini veneti. I quali – a dispetto della cucina – hanno invece invaso il mondo.
È il caso del Prosecco, che non solo batte per popolarità la “Sacra Conversazione” di Cima, superba pala del Duomo di Conegliano, ma attraverso milioni di bottiglie esporta il suo nome nel mondo.
Senza perdere d’occhio il divario fra cucina e vini, può essere stimolante soddisfare in proposito qualche legittima curiosità. E cominciamo dal Prosecco, il cui nome è legato a una frazione di Trieste, poco più di mille abitanti a ridosso del Carso. Niente da spartire col celebre vino e la sua straordinaria avventura.
Certo, l’allevamento della vite è più antico della grande pittura del Rinascimento, ma non credo che allora il vino godesse di molto prestigio. La gestione dei vigneti è stata per secoli quantomai empirica, e così i processi di vinificazione. Garantire un minimo di longevità, era il problema-principe fin dai tempi di Roma. Per cui si è andati avanti sul filo della memoria e di una tradizione non sempre corretta. Per giunta, attenti solo alla quantità, visto che il vino era spesso al centro di ogni baratto.
Continuo a credere alle imprevedibili vicende di questa terra trevigiana, ma rischio di trascurare la recente celebrazione dei Cinquantanni della Doc Prosecco. Rinuncio così alla Conegliano (dal latino cuniculus legato ai passaggi sotterranei del castello?) della Marca, degli Ezzelini, degli Scaligeri, di Venezia, fino alla breve parentesi dei Carraresi. E poi ancora all’avvento di Napoleone, degli Austriaci, della nascita della Strada Maestra e della Ferrovia (1858), che vedrà il centro vitale del paese spostarsi più a sud, attorno alla stazione.
Concludo il lungo salto nel 1866, quando il Veneto entra a far parte dell’Italia. Dieci anni dopo, nascerà la Scuola di Enologia di Conegliano, fra le cui aule e laboratori è passata la bella avventura di quel Prosecco, che oggi può vantare cinquecento milioni di bottiglie vendute sui mercati di tutto il mondo. La Scuola conta solo tredici ettari a vigneto e uno a prato e bosco. Anche se è lo spazio riservato ai laboratori quello più intrigante. C’è di tutto: chimica, microbiologia, scienze, fisica, informatica. E questo giustifica appieno la presenza di 170 docenti, di cui 30 tecnico-pratici.
Ma veniamo al Prosecco, che può vantare tre Doc e tre Consorzi, tutti legittimati dalle diverse tipologie del vino, ma di non facile approccio per un buyer o un giornalista straniero. E questo, anche per il diverso potenziale produttivo dei tre organismi, che vede l’eccellenza del Prosecco Superiore Docg guidare il trittico, a dispetto del minor numero di bottiglie. In cambio, c’è fra i tre enti una forza associativa e un’unità d’intenti, che hanno giovato – e non poco - all’affermazione del Prosecco, in tutte le sue versioni.
Ricostruire a grandi linee la magica avventura di questo vino, significa muovere dalla molteplicità e dalla ricchezza del suo areale, che conta ben quindici Comuni per la sola Docg Conegliano Valdobbiadene. Il primo Consorzio nasce nel 1962, grazie allo spirito d’iniziativa e all’entusiasmo di undici produttori. E’ l’avvio per una serie di progetti, che porteranno quattro anni dopo a definire il tracciato della Strada del Prosecco, la prima in Italia dedicata a un vino. Intanto, procede a passo di carica la battaglia dei produttori, per il riconoscimento della Doc, che a partire dal ’69 darà una prima connotazione al Prosecco Superiore.
Ci siamo. Se si esclude il territorio di Rovigo e Verona, il Prosecco copre l’80% della produzione. La terra d’origine è Conegliano Valdobbiadene e Colli Asolani, vale a dire l’area settentrionale della Marca Trevigiana, che è poi la patria del Prosecco Docg. In pianura, invece, è allevato il Glera, storico vitigno che fa da base al Prosecco Doc (85%), anche se ormai vinificato quasi sempre in purezza.
Scopro così che sui Colli Euganei, quelli intorno a Padova, quest’uva è conosciuta come Serpino, ma in tutta la Marca Trevigiana è stata da tempo etichettata come Prosecco. Almeno fino al ‘69. Quando il riconoscimento della Doc - e poi della Docg (2009) al Prosecco di Conegliano Valdobbiadene - ha imposto l’adozione del nome Glera, per non confondere vitigno e vino.
Questo è stato il Prosecco per oltre mezzo secolo. Poi – come è avvenuto per il Tokaj – si è reso necessario dare al nome un riferimento geografico, un topos, dove il vitigno sarebbe nato. Ed è venuto fuori così un borgo di Trieste, Prosecco, a oltre centocinquanta chilometri dai Comuni di Conegliano Valdobbiadene e di Asolo, interamente tutelati dalla Docg, tenuto conto che - per il rimanente territorio - il Prosecco è solo Doc.
In ogni caso, resta il fatto che il Prosecco – insieme all’Asti Spumante e alle bollicine della Franciacorta – è tra i vini più accreditati sui mercati esteri. Il successo è legato non solo allo straordinario rigore con cui viene prodotto (è costante la tensione verso traguardi sempre più ambiziosi), ma ad una sapiente ed efficace campagna di promozione, che vede celebrare ogni occasione – dal rapido incontro al bar a un importante evento – con una flute di Prosecco.
Resta da scoprire che c’è dietro questa diffusa presenza del Glera su tutti i Colli trevigiani. La risposta è negli antichi insediamenti dei monaci Benedettini e Camaldolesi, con le loro abbazie, che ancora conferiscono una precisa connotazione al territorio. I monaci avevano tra l’altro bisogno di vino per la messa, in anni in cui le distanze, anche per il sito più vicino, non erano facilmente superabili.
Bene accreditato fin dalle origini – grazie a un territorio ricco di corsi d’acqua, tutti generati dal Piave – il Glera acquisterà anche fama di vino terapeutico, in grado di allungare la vita. In questo clima, vario e complesso, ha avuto un sicuro ruolo di ordinamento e di metodologia la Scuola Enologica di Conegliano, nelle cui aule si sono formate generazioni di tecnici. Grazie alla passione e alla sapienza di una pattuglia di docenti, sempre impegnati sul fronte della ricerca.
Resta l’avvento della fillossera e ancor di più lo sconvolgimento della Grande guerra. Che priveranno la terra di braccia, e la renderanno a lungo infruttuosa. Poi nel ’69 il riconoscimento della Doc e nel 2009 quello della Docg Prosecco Superiore. L’obiettivo di quest’ultima attribuzione è stato quello di difendere il nome Prosecco, legandolo non al vitigno, bensì al territorio. Siamo intorno agli ottomila ettari, e ai trecento nel territorio di Asolo. Nel cuore dell’areale di Valdobbiadene, trovano poi spazio i vigneti di Cartizze (poco più di cento ettari), che devono alla loro ottimale esposizione la nota appena amabile, che contraddistingue questo vino.
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