Il Golf Roma Acquasanta
di di Paolo Pilla
“The Rome Golf Club” probabilmente già esisteva prima del 1903; i soci, in prevalenza diplomatici inglesi ed americani appassionati golfisti, si adattavano a giocare sui prati delle ville romane: Villa Doria Pamphilj, Villa Borghese, oltre ad un percorso fuori Porta San Giovanni. L’attuale Golf Acquasanta ha oltre un secolo, è il più antico d’Italia; è prestigioso, ha segnato l’inizio del gioco del Golf disciplinato, nel nostro Paese. È il 1885 quando alcuni amici inglesi pensano di realizzarlo. Nel gennaio 1903, i Soci riuniti in assemblea, danno l’ incarico a Mr. Arthur Flach nominato Hon. Captain, di cercare un posto idoneo a creare un percorso che potesse rispondere alle loro necessità. Valutate alcune alternative, i Soci accettano le scelte di Flach: suggeriva di fatto una posizione superba. ai lati della via Appia tra orti e vigne, accanto al mausoleo di Cecilia Metella, al Castrum Caetani, all’acquedotto Claudio. Odorava di eucalipto e di pino marittimo. All’orizzonte la basilica di San Giovanni in Laterano, e la cupola di San Pietro. Trovarono quel territorio, l’Acqua Santa, particolarmente adatto per ospitare un campo di Golf, con quel panorama straordinario a 360 gradi. Si accordano con il principe Torlonia, proprietario di quell’agro alle porte di Roma, e studiano le basi per la fattibilità. Concordano l’affitto del terreno e di un casale, che sarà la prima club house, per la somma di 2.900 lire l’anno. Avranno la possibilità di rinnovarlo per sei anni, e la somma pattuita comprende le rendite derivanti dal pascolo e dalla vendita del foraggio. Sono questi, tutti atti testimoniati da documenti; tra essi, le norme per fare il Campo da Golf a 9 buche. Per le assemblee i soci si riunivano al consolato britannico o degli Stati Uniti. I verbali venivano stesi in inglese, bisognerà attendere il 1930 per trovarli redatti in italiano.
Sono stati in pratica alcuni diplomatici inglesi sostenuti da possidenti patrizi, nel desiderio di avere a portata di mano lo svago del Golf tanto praticato a casa loro, a fondare il Club, a cui diedero il nome di “Rome Golf Club”. È la prima delle storie che si ripeteranno in seguito, per altri posti e Campi famosi. Dopo qualche tempo, il nome del Circolo viene cambiato in Circolo del Golf di Roma dell’Acquasanta. Gli fu dato questo nome perché al suo interno vi era una fonte da cui sgorgava un’acqua ferruginosa ritenuta salubre. La fonte, avvolta nella leggenda legata al culto della ninfa Egeria, era ancor più avvalorata dalla mitologia dell’antica Roma fiorita sul fiume Almone, che attraversava i luoghi. Già la Roma primitiva, al tempo di Cristo, conosceva e apprezzava quell’acqua celebre per guarire le malattie dello stomaco. La citano Tito Livio e Ovidio nei loro scritti, ed è ancora perfettamente sfruttata ai giorni nostri. Prestando fede a quel millenario mito, i Romani la ritenevano curativa, la pensavano prodigiosa, e per le sue qualità terapeutiche la chiamavano Santa. Ecco da dove nasce il suo nome, un po’ strano, accettato da quei primi entusiasti di questo sport, responsabili della successiva diffusione nel resto del nostro Paese. Con il Tevere e l’Aniene, l’Almone forma le tre maggiori acque di Roma. Scende dai Colli Albani di natura vulcanica, e nell’antichità classica era onorato per la sua sacralità e per la qualità organolettica delle sue acque. Nelle Metamorfosi, Ovidio lo descrive come “fiume che alimenta la vita”. Quasi interamente interrato nell’attraversamento della città di Roma, parte del fiume è divenuta oggi una discarica di rifiuti urbani.
Non si concesse però solo al Golf, il Circolo; ebbe a ospitare altre manifestazioni sportive, tra cui il pentathlon, nelle Olimpiadi del 1960.
Il Campo è situato all’interno del Grande Raccordo Anulare, a 3 km dal Colosseo. Lungo il percorso, folta alberatura permettendo, si gode la suggestiva vista dell’acquedotto Claudio che attraversa parte delle diciotto buche, un po’ più lontano si erge la cupola di S. Pietro. Accanto alla partenza della buca 1, sono ancora presenti gli antichi edifici del XV secolo, costruiti da papa Paolo V per l’utilizzo delle terme dell’Acquasanta.
Dietro al tee della buca 3 c’è la sorgente di acqua minerale benefica, famosa per le leggende sulla ninfa Egeria, già nota come Fonte dell’Acqua Santa. La fonte, per lunghi secoli, fu luogo di culto sacro ai romani. Secondo la leggenda, Egeria era una ninfa, ma anche la moglie del secondo re di Roma, Numa Pompilio. Prima di divenirne sposa, ne fu l’amante e la consigliera. Le donne in stato di gravidanza arrivavano da ogni parte di Roma, per chiedere la grazia di poter partorire in acqua tiepida, accanto al lago. Lei prevedeva il futuro, le donne offrivano sacrifici. Alla morte del marito, Egeria pianse tantissimo: la dea Diana trasformò il suo corpo in lacrime, dalle lacrime scaturì la fonte. Camminando in via Appia Pignatelli, nei pressi della fonte Egeria, c’è una grotta, accanto alla sorgente di quell’acqua minerale acidula di fianco al colle, chiamata Grotta Egeria. È un ninfeo rettangolare dove un tempo erano collocate alcune statue di numi fluviali, da cui sgorgava l’acqua. Ora c’è una statua che rappresenta il dio Aimone, da cui l’acqua fuoriesce. Nel parco sono state poste varie fontanelle per prendere l’acqua da portare a casa, molto gradita ai romani che la pensano prodigiosa, come già al tempo di Cristo, quando gli antichi apprezzavano quell’acqua celebre. La citano Tito Livio e Ovidio nei loro scritti.
Il paesaggio lievemente collinare attraversato dal fiume Almone, su cui fiorivano leggende di mitologia dell’antica Roma, che aveva incantato i diplomatici inglesi, si è preservato intatto.
A quel tempo il Campo era utilizzato da ottobre a maggio. Dopo la chiusura, raramente i fairway venivano falciati, era lasciato alle pecore il compito della rasatura, e della concimazione, e questo creava un po’ di reddito al Club.
Ho avuto l’opportunità di giocarci per la prima volta qualche tempo fa, e posso dire di aver avvertito anch’io quell’atmosfera, la curiosa sensazione di vivere l’ambiente di quel tempo. Mi è stato detto, e d’altro canto la cosa si può facilmente rilevare, che dal 1912 anno in cui il Club provvide ad ampliare l’estensione del terreno in affitto dai principi Torlonia e a completare le diciotto buche mettendo a dimora olmi e pini marittimi, il percorso non è più stato rimaneggiato, salvo l’averne invertito la direzione.
Personalmente l’ho trovato molto impegnativo, un po’ faticoso, per i suoi frequenti dislivelli. Segue infatti, seppur dolcemente, le naturali ondulazioni del terreno. Molto belle, seppur difficili, anche le buche considerate facili; prendiamo ad esempio la 11, valutata dal rating la più facile, proprio handicap 18. È un par tre di soli 100 metri, ma se non si è precisi sono guai: il green, in discesa, è protetto come una fortezza medioevale; un ostacolo d’acqua gli sta proprio davanti, e intorno, un corollario di ben 5 bunker. Oltre a questi, il bosco. Non bastasse, c’è sempre il vento che impone una rigorosa scelta del ferro, un vento che facilmente cambia d’intensità, durante l’esecuzione del colpo. Bisogna avere precisione, e anche una buona dose di fortuna, per atterrare e restarci, su quel green velocissimo. Per non parlare poi, delle buche valutate difficili. Il fiume Almone, con i suoi piccoli affluenti crea numerosi ostacoli naturali; i fairway sono stretti, i green piccoli e sempre ben protetti.
È insomma un Campo tosto, ma posso a ogni buon conto affermare che mi ha affascinato la logica delle buche, anche di quelle più difficili. Sarebbe sicuramente un errore modificare quel percorso, significherebbe usargli violenza. La Clubhouse è accogliente, atmosfera vecchia Inghilterra. Con le pietre messe a dimora negli anni ‘30, lega perfettamente con l’ambiente che la circonda.
L’arrivo della Grande Guerra, sconvolse la vita sociale del Circolo, che poi, fino agli anni 20, non accettò giocatori di nazioni che erano state nemiche.
Dopo vent’anni, terminata la guerra, la situazione economica si riprende. Un sempre maggior numero di soci italiani si iscrive al Club. Nel dicembre 1923, tenuto conto della migliore situazione economica, l’Assemblea delibera una raccolta di fondi circa 100.000 lire, finalizzato alla costruzione di una nuova Club House, la seconda. Viene costruito un casale, edificato a fianco del primo. Ne vennero costruite in seguito una terza e una quarta, l’attuale, che costò 500 milioni di Lire e venne inaugurata l’11 novembre 1971, sostituendo 30 anni dopo quella donata da Ciano.
Durante la seconda guerra mondiale il Campo non soffrì grandi disagi, salvo qualche buca che divenne orto di guerra: I tedeschi occuparono il Circolo, ma lo rispettarono. Nel ’44 gli Alleati sbarcarono ad Anzio, la Wehrmacht occupò il Circolo ed il forte dell’Acquasanta, e armò un accampamento lungo la valle dell’Almone ma, a onor del vero, rispettarono il Campo. Gli alleati, seppur consapevoli della presenza della Wehrmacht nella Clubhouse non la bombardarono, consapevoli che si sarebbero tirati la zappa sui piedi se l’avessero distrutta. Ai piloti venne poi chiesto come mai non avessero bombardato quell’insediamento di tedeschi cosi visibile. Ridendo risposero: “saremmo stati matti a distruggere l’unico campo da golf di 18 buche a sud di Firenze!”.
Il 4 giugno 1944 il generale Clark liberò Roma, e pochi giorni dopo, si riprese a giocare.
Il Circolo fu “invaso” dai festosi Alleati, molti dei quali giocatori. Lord Alexander, il Maresciallo Montgomery, il Generale Clark ed il Generale Patton visitarono il Club dell’Acquasanta. Ufficiali e Soci si amalgamarono bene, e la vita del Circolo riprese con quella spensierata allegria che fu un tratto tipico del dopoguerra, anche se la guerra continuava feroce nel nord. L’Acquasanta fu uno dei centri della mondanità sportiva romana, in cui quasi tutta la forza lavoro: operai del campo, addetti agli spogliatoi, barman e camerieri, proveniva dai caddies, gente che conosceva e amava il gioco del golf e il Circolo. Molti di loro, provenienti dalla vicina Quarto Miglio.
Si potrà forse dire che il Club voglia essere un tantino elitario, ma è irresistibile il fascino di alcune buche particolarmente scenografiche del percorso. Ripaga, infonde nel giocatore un caratteristico piacere, che trascende il buon risultato della partita. Pur essendo costoso, ha un buon numero di soci, e ancor più di semplici frequentatori stranieri, a memoria degli albori del ‘900, quando era inglese la lingua usata in Campo. All’epoca erano solo i portabastoni, a parlare romano: numerosi ragazzi volenterosi, che riuscivano a guadagnare qualche spicciolo durante il giorno, mentre di notte praticavano anche loro, riuscendo spesso a impadronirsi della tecnica di gioco, al punto di diventare maestri. Dentro a questo magico Campo, scritto in un secolo di storia, il tempo sembra essersi fermato.
q
Vuoi ricevere la rivista Taste Vin?
Scrivici