Melanzana o Petonciana
di di Enzo Gambin
Melanzana o Petonciana: la magia di un ortaggio.
Da quando i Saraceni portarono le melanzane in Sicilia e in Spagna, XII- XIV secolo, di questo ortaggio se ne sono dette di tutti i colori. Il suo nome proviene dalla lingua araba “bāḏinjān”, inflessione che, col tempo, subì dei cambiamenti diventando, “petonciano”, “petronciana”, “mela ciana”, “melangiana” e, finalmente, melanzana.
La melanzana non era conosciuta né dai Greci né dai Romani, si coltivava nel Nord-Africa, forse proveniente dalla Persia o, addirittura, dall’India orientale, dove nasceva spontaneamente e si conservava in salamoia, con aggiunte di spezie piccanti. Alcuni sostengono che la melanzana arrivi dalla Cina. Lì abbiamo una testimonianza di quest’ortaggio nel Qimin Yaoshu, un antico trattato di agricoltura cinese del 544 d.C., in cui però non è riportato se la Cina fosse punto d’arrivo o di partenza della melanzana.
Quando la melanzana arrivò in Europa, ci fu la difficoltà nel darle un nome e, dato che il parlare dotto del tempo era ancora il greco e il latino, si prese il nome arabo di “bāḏinjān” e lo si fece transitare nella lingua greca.
Qui nacque il primo problema, al greco mancava il suono iniziale “b-“, così il termine fu preso con la “m-“ direttamente dalla parola greca μέλας, melas, “nero”, anche perché le melanzane del tempo assomigliavano proprio a una grossa mela nero - viola. La nostra “bāḏinjān” divenne così prima “ματιζάνιον”, “matizanion”, siamo nell’ XI secolo, poi, col tempo, si pronunciò “μελιντζάνα”, “melintzana”, e qui arriviamo al XIV secolo, subì ancora un adattamento vocale nel XVII secolo in “μελιντζάνιον”, “melintzanion”.
Dal greco “matizanion” questa parola passò al latino medioevale come “Melongena”, poi ai dialetti, diventando “Melanzāna” in siciliano e “Melongiana” nel veronese.
L’associazione della melanzana al termine greco “melas” creò dei problemi, perché nel passaggio al “latino maccheronico”, tratto dal linguaggio popolare e dialettale, portò ad articolare questo nome come “mela insana”, creando la credenza che il suo uso alimentare potesse portare alla pazzia.
Il maleficio dell’uso culinario della melanzana non era solo un’invenzione popolare, c’era un po’ di vero, perché se fosse stata consumata cruda avrebbe potuto essere tossica per la presenza di solanina.
In effetti l’agronomo Gabriel Alonso de Herrera, 1470 – 1519, arrivò a dire che “gli Arabi la portarono in Europa – la melanzana - per uccidere con essa i Cristiani” e Leonhart Fuchs, 1501 – 1566, botanico e medico tedesco, scrisse “Il suo nome deve spaventare coloro che hanno cura della loro salute”.
Non si sa se Alonso e Fuchs avessero fatto esperienza culinaria con la melanzana o avessero solo letto quanto aveva scritto dal celebre medico persiano Ibn Sīnā, più noto come Avicenna, 980 – 1037, che, nella sua monumentale opera “al-Qānūn fī ‛ṭ-ṭibb” “Il canone di medicina”, poneva in guardia dall’usare le melanzane come cibo, perché potevano causare danni alle pelle e crisi epilettiche.
Il naturalista fiorentino Soderini Giovanvittorio, 1527 – 1597, che fu probabilmente il primo a parlare della melanzana e che non avrà letto le opere di Avicenna, Alonso e Fuchs, al contrario di questi riportava nel suo “Trattato della coltura degli orti e giardini” del 1550: “Le Melanzane vengono di sementa d’India, e sono da alcuni chiamate Pomi d’oro; sono queste schiacciate come le melerose, e fatte a spicchj, di color prima vere e, come sono mature in alcune piante, prima rosse come sangue, ed in altre di color dell’oro. Si mangiano cotte come i tartufi .. si cuocono come tartufi, ed ancor fritti nella padella sono gustevoli.”
La popolazione spagnola fu dello stesso parere del Soderini e le melanzane entrarono nell’uso comune delle loro cucine, tanto che gli abitanti di Toledo erano chiamati Berenjenados, “melanzanati”. Non solo, le melanzane entrarono anche nella storia di “Don Chisciotte della Mancia”, infatti, Miguel de Cervantes Saavedra, 1547 - 1616, argutamente raccontò che il vero autore dell’opera era un mussulmano, tale Cide Hamete Benengeli.
Secoli dopo, lo storico Leopoldo Eguílaz y Yanguas, 1829 – 1906, pose il nome “Benengeli” in relazione con “berenjena”, “melanzana”, evidenziando il fatto che il Cervantes cercava un nome popolare al suo fantastico autore e che nello stesso tempo contenesse un senso di magia e di libertà, due caratteristiche ben presenti nella melanzana.
La magia nella melanzana è associata alla suo sfumatura viola, il colore della spiritualità e dell’incontro con se stessi.
La libertà in questo caso si potrebbe definirla come la capacità di nutrire in tanti modi nei diversi territori.
La fortuna del romanzo “Don Chisciotte della Mancia” risiede nell’enorme ricchezza narrativa, che ha fatto da modello per molti altri autori come, Flaubert, Dostoevskij, Kafka. La stessa relazione con “melanzana” ha ispirato, secoli dopo, il romanziere colombiano e premio Nobel García Márquez, 1927 – 2014 che usò la riprese nel romanzo “L’amore ai tempi del colera”, 1985, dove la protagonista Fermina Daza: “Detestava le melanzane fin da bambina, prima ancora di averle assaggiate, perché le era sembrato che avessero un colore di veleno”. Il Márquez utilizzò la repulsione primordiale dell’uomo verso cibi dal colore nero o viola, perché ambigua e associata al pericolo e al veleno.
Sappiamo ora bene che le melanzane non sono “insane”, al contrario, sono salutari, perché hanno notevoli proprietà depurative e un indice glicemico molto basso, contengono sostanze che agiscono contro i radicali liberi e combattono l’invecchiamento e le malattie cardiovascolari.
Questo patrimonio culturale della melanzana un po’ “janara”, secondo le credenze popolari di strega, maligna benigna, che popolava i racconti della tradizione del mondo agreste e contadino, rimane ancora e lo scopriamo nel gruppo musicale I Mashrou’ Leila. Tale gruppo si è formato a Beirut nel 2008 come laboratorio musicale presso l’Università Americana.
Questi musici sono noti per la loro sottile poesia sottile nelle liriche e, uno dei loro brani più famosi, Raksit Leila, “La danza Leila” del 2015, parla della melanzana.
Ascoltiamo i suoi versi
“Il malocchio non sempre funziona per tutto
detto tra noi …
Canta per me della melanzana”
La melanzana non solo è citato nei versi di questi cantanti poeti, ma è presente pure in ogni loro fotogramma: forse affascinati della magia o forse per la scaramanzia che quest’ortaggio porta con sé.
Cos’abbiamo d’aspettarci ancora dalla melanzana?
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