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Alto i calici con il Rosè

di S.A.

Rosa come la cipria o il salmone, come le pesche o il pompelmo, come le ciliegie o le albicocche, come la buccia di cipolla o un sorbetto di fragole. Sono inesauribili e variopinti i riferimenti a frutti e fiori, a piatti, a profumi golosi in ogni descrizione dei vini rosati. Vini associati tradizionalmente all’estate e alla bellezza, e considerati fino a pochi anni fa adatti semmai a incontrare i gusti delle donne, dimenticando come le signore competenti nel settore e intenditrici del buon bere siano decisamente numerose. Al gentil sesso, semmai, si deve riconoscere anche nel mondo del vino un’assoluta predisposizione all’assaggio e all’abbinamento. Ma c’è vento di cambiamento tra i calici rosa, e i numeri lo dimostrano: la crescita esponenziale, così come la loro presenza in carte vini di assoluta eccellenza, costringono quindi a ripensare il ruolo di questo colore. Che non è una via di mezzo tra il bianco e il rosso. È, semplicemente e a tutto tondo, rosa. Il terzo colore del vino. Ecco i suoi segreti.

Il mondo del vino si tinge di rosa

 

Le fiere e le kermesse, le degustazioni a tema e le masterclass di questo intenso periodo post pandemia hanno dato risalto a un trend che difficilmente passa inosservato: i vini rosati sono pronti a conquistare quote di mercato sempre più importanti. E se fino a pochi anni fa a detenere il primato, per eleganza e qualità, erano senz’altro i cugini d’Oltralpe, con la Provenza come terra di elezione per i rosè, oggi a contendersi il trono ci sono fior fiore di bottiglie provenienti da ogni angolo d’Italia. E, incredibile ma vero, sono proprio i francesi in vetta alle classifiche come importatori numero uno in Europa di vini rosa provenienti dall’Italia. Via libera ai calici del colore dei fiori e dei frutti dell’estate, allora, sulle tavole dei più grandi estimatori dei vini di alto livello: dagli Stati Uniti, storico mercato dei rosa, ai paesi scandinavi, dal Canada all’Asia.

 

Quali uve, quali zone?

 

È un viaggio lungo e complesso quelli tra i vini rosati italiani. D’altronde, cosa accadrebbe se si dovesse concentrare in poco spazio una descrizione esaustiva di tutti i vini bianchi e di tutti i rossi del Belpaese? L’unico modo per conoscerli, allora, è quello di degustarli, col naso e con la bocca, dedicando particolare attenzione alle sfumature di rosa che incontreremo, capaci di raccontare in larga misura ciò che ci attende nel bicchiere. Possiamo dire che ci sono vini rosa con una tradizione già lunga alle spalle, che rientrano addirittura nel disciplinare di una Doc, come nel caso del Chiaretto di Bardolino, prodotto con una netta percentuale di Corvina cui si aggiungono, in maniera minore, Corvinona, Rondinella e altri vitigni previsti in zona.

Altri, invece, nascono da vitigni utilizzati di solito in purezza nella produzione di vini tradizionali appartenenti a diverse aree.

Sono gli autoctoni, in particolare, i prediletti dai produttori che hanno colto il potenziale dei rosati. Ecco allora il Raboso Piave, spesso nella sua versione rosata frizzante, e il Manzoni Moscato; il Tai Rosso e la Rondinella, l’Oseleta e la Negrara. Ci spostiamo in Trentino, dove ammiccano dalle carte vini i rosa da Schiava e Teroldego, Lagrein e Moscato. Tra i friulani, il Pinot Grigio Ramato doc, i blend di Merlot e Pinot nero, il Refosco. Ma dalla Liguria all’Adriatico, e dalle Alpi alle isole del sud, c’è l’imbarazzo della scelta, un vero universo da indagare con la consapevolezza che potremmo trovarci di fronte a veri e propri colpi di scena scoprendo, per esempio, una spalla acida inaspettata abbinata a profumi intensi e a morbidezze sorprendenti.

 

Un colore, diversi metodi

 

I vini rosati nascono da uve rosse vinificate in bianco, con una macerazione di bucce e vinaccioli nel mosto per tempi estremamente brevi, in base all’intensità del colore e al rosa che si desidera ottenere. A quel punto il mosto, una volta separato, prosegue la sua fermentazione. Un altro metodo, diffuso tuttora soprattutto in Francia, consiste nel salasso: viene prelevata una determinata quantità di mosto da una botte in cui si sta procedendo alla produzione di vino rosso prima che la macerazione sia portata a termine. Il mosto estratto dunque non entrerà più a contatto con le vinacce, proseguendo la fermentazione come se fosse mosto bianco. Il risultato? Essendoci una quantità di tannini superiore, i rosati ottenuti con questo metodo hanno di solito una struttura molto più robusta. E pensare che un tempo qualcuno credeva, e forse lo crede ancora?, che il vino rosa fosse il mix tra un bianco e un rosso. A dispetto degli scettici che lo prendono comunque, a prescindere, sottogamba, abbiamo una certezza: fare un vino rosa è tutt’altro che facile. Bastano pochi minuti in più, per esempio, per vedere alterata la tonalità che si desidera ottenere. Non ci sono alternative, quindi, e i vignaioli lo confermano: con i rosati è assolutamente necessario mantenere sempre alta l’attenzione, fino al momento dell’imbottigliamento.

 

Estivo e da bordo piscina? Certo. Ma non solo...

 

L’occhio vuole la sua parte, si sa. E pochi vini si prestano a soddisfare la vista come riesce a fare un rosato. Magari a bordo piscina o sul lungomare, davanti a un tramonto sul lago o su una mensa traboccante di piatti colorati e freschi. Servito a una temperatura tra i 10 e i 12 gradi, per esaltarne i profumi senza rinunciare alla bellezza di un calice appannato, il vino rosa si conferma a tutti gli effetti un vino gastronomico: versatile e sapido, ben strutturato e al tempo stesso morbido, si sposa alla perfezione con i piatti freddi della cucina mediterranea e le crudités di pesce e di verdure, accompagnando con eleganza e garbo, unite a una spiccata personalità, formaggi freschi e primi piatti preparati con le primizie dell’orto, perfino i più complessi da abbinare, come gli asparagi o i carciofi. Dimostrandosi perfettamente all’altezza, e soprattutto rivelandosi in certi casi un vino perfetto: magari un vino rosso coprirebbe certi sapori, mentre un bianco potrebbe soccombere di fronte agli aromi troppo decisi.

Come non amare, poi, un calice di rosa accompagnato a un dessert a base di frutta e creme delicate?

Il vino rosato, dunque, è tra tutti il più versatile.

Ma c’è di più. È ormai fuori moda l’abitudine a relegare il vino rosato ai soli mesi estivi.

E i francesi ce lo insegnano, così come i turisti nordici, grandi estimatori dei vini rosa italiani: un calice del colore dell’alba e del tramonto è un antidoto alla tristezza e alle malinconie. E così, nelle fredde giornate invernali, aprire una bottiglia di rosato aiuta a richiamare alla memoria i ricordi della bella stagione, i profumi dei fiori e la spensieratezza delle serate estive.

Non saremo affatto delusi: oggi i vini rosa sono prodotti con competenza, unendo antichi saperi a nuove tecnologie. Al punto da reggere masterclass e verticali che si spingono indietro di anni, se non decenni. Complice quella sapidità e quegli zuccheri capaci di conservare a lungo, sfidando il tempo che passa.

E quindi sono una garanzia, a distanza di mesi e di anni. Meglio comprare due bottiglie invece di una, insomma. La seconda potremo metterla in cantina, aspettando la giusta occasione per gustarla con lentezza e tranquillità.

Di sicuro non resteremo delusi.

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