Friulano: una storia vissuta
di Marina Gasparini
Il Friulano è un vitigno, largamente coltivato in Friuli-Venezia Giulia. Fino al 2007 era denominato Tocai.
Tralcio legnoso e di colore scuro con gemme piccole e schiacciate - foglia medio-grande, orbicolare, tri o pentalobata, seno peziolare chiuso e pagina inferiore glabra - grappolo medio, tronco-piramidale, alato e mediamente compatto - acino rotondeggiante (a volte leggermente ovoidale) con 1-2 vinaccioli di media grossezza e buccia pruinosa di colore verde-giallo. la maturazione è medio-precoce, la Vigoria è molto buona.
Per la produzione di vino a base di friulano si utilizza la vinificazione in bianco.
La maggior parte di vino ottenuto è secco anche se non mancano versioni di vini passiti o liquorosi a base di friulano: un esempio è la DOC lombarda San Martino della Battaglia liquoroso. Le uve vendemmiate vengono immediatamente portate in cantina, dove si provvede alla diraspa-pigiatura.
Queste due tecniche, anche se effettuate con l’uso di un solo macchinario, devono essere ben distinte tra loro, in quanto per diraspatura si intende la separazione degli acini dal loro sostegno, cioè il raspo, mentre per pigiatura si intende lo schiacciamento dell’acino per ottenere la fuoriuscita dei gran parte del mosto.
Al termine della pigiatura la “miscela” di mosto e bucce viene immessa nella pressa, un macchinario atto ad ottenere la maggior quantità di liquido possibile tramite la vera e propria pressatura delle bucce.
Questo processo deve però essere abbastanza lento, per evitare che nel mosto da cui si otterrà il vino entrino sostanze non volute, come ad esempio i tannini ruvidi dei vinaccioli, delle sostanze polifenoliche che causano un’elevata astringenza del vino.
Al termine della pigiatura il mosto viene portato nelle vasche di decantazione, dove viene trattato con degli enzimi (detti “pectolitici”) o dei chiarificanti (“bentonite”) per togliere la gran parte delle sostanze in sospensione. Al termine di questo processo, che può durare molte ore, si può dare inizio alla fermentazione alcolica inoculando nel mosto i lieviti del ceppo Saccharomyces cerevisiae.
Questi lieviti utilizzano lo zucchero contenuto nel mosto per formare poi l’etanolo, ovvero l’alcool che noi percepiamo nel momento in cui beviamo il vino.
Al termine della fermentazione, che dura più o meno 30 giorni, il vino ottenuto viene lasciato a riposo in un’altra vasca. Da qui, con successive lavorazioni e stabilizzazioni (travasi, filtrazioni,...) si arriva al momento dell’imbottigliamento. A questo punto il Friulano è pronto per essere consumato.
La sua caratteristica principale, come vino, è il gradito profumo e sapore di mandorla amara, che porta quindi i produttori a non eccedere con i profumi dovuti all’invecchiamento.
Se così fosse si avrebbe un vino troppo impegnativo, pesante, che sazia al primo sorso, non più elegante e beverino, come invece il Friulano dovrebbe essere.
Un’altra evidente caratteristica di questo vino è il retrogusto amarognolo, gradito in quantità limitate ovviamente. Per quanto riguarda il colore, quello del Friulano deve essere caratterizzato da un giallo paglierino molto scarico; segno questo di gioventù e di eleganza.
Fino a pochi anni fa il vitigno Friulano prendeva il nome di Tocai. Alcuni accordi tra Italia e Unione Europea del 1993 hanno vietato l’utilizzo del nome “Tocai” a partire dal marzo del 2007, in quanto troppo simile a quello doc ungherese Tokaj e all’omonima zona di produzione.
La somiglianza è relativa solo ed esclusivamente al nome in quanto il Tocai Friulano ed il Tokaj Ungherese sono completamente diversi come vini per colore, profumo, gusto e come metodi di produzione. Inoltre il Tokaj ungherese non è un unico vino, ma vari vini provenienti dalla stessa zona della città di Tokaj. A gennaio 2008 la regione Friuli - Venezia Giulia intentò un ulteriore ricorso per fare annullare la sentenza.
Ma il 15 novembre 2008 la Corte Costituzionale giudicava costituzionalmente illegittima la legge regionale del Friuli - Venezia Giulia 24/2007, che stabiliva la possibilità di utilizzare il nome Tocai per la vendita sul territorio italiano. Dalla vendemmia 2008, non è più consentito utilizzare il nome Tocai nelle etichette. Alcuni studiosi hanno pure vagliata la questione se, stante l’attuale stato normativo, versare il vino bianco Friulano in una caraffa marchiata “Tocai” configuri o meno atto illecito. Al momento la discussione risulta ancora in fase preliminare.
Altri sinonimi per il vitigno friulano sono: tocai friulano (che non dovrebbe essere utilizzato per evitare qualsiasi confusione con il Tokaj); tai che però è utilizzato scorrettamente in quanto il tai è il vino prodotto in Veneto (non in Friuli) con il vitigno friulano.
Per evitare qualsiasi ambiguità o errore, occorre parlare solo di friulano intendo l’ex vitigno (friulano) tocai. E comunque non si deve parlare assolutamente di tocai intendendo il vino dato che l’Italia ha perso il diritto di utilizzare un nome simile per qualsiasi vino a favore del celebre Tokaj ungherese. L’antico contratto matrimoniale di Aurora Formentini, quando andò in sposa al conte ungherese Adam Batthyany nel 1632, annovera, tra i vari beni portati in dote dall’antenata dei conti di San Floriano del Collio, anche «...300 vitti di Toccai...» coltivate già all’epoca nelle campagne di Mossa e San Lorenzo Isontino.[3] Questo, per i sostenitori della tesi, prova l’origine italiana del vitigno Tocai.
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