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Il palcoscenico grottesco di Accardi

di Mimmo di Marzio

Il vero obbiettivo dell’artista, diceva Salvador Dalì, consiste nel “sistematizzare la confusione e contribuire all’assoluto discredito del mondo reale”. Una vera e propria missione che il maestro catalano perpetrava non soltanto nel concepimento

dell’opera ma nella sua stessa attività quotidiana, portandolo a dichiarare che un bravo pittore dev’essere in grado di copiare una pera anche nel mezzo di una rapina o di una rivolta.

Quel surrealismo del quotidiano, tanto caro anche al nostro Dino Buzzati per il quale “in principio è sempre il sogno”, sta alla base della ricerca di Angelo Accardi, artista campano di Sapri, natali che certamente hanno contribuito all’indagine quasi ossessiva per gli archetipi e il citazionismo. In principio è la pittura, nel suo caso, un linguaggio che utilizza ancora una volta la figurazione come strumento di narrazione e al contempo di introspezione nell’inconscio collettivo. I temi scelti per i suoi “misplaced” (la serie “fuori luogo”) e i “blend” (miscele) sono rappresentazioni enigmatiche cariche di elementi apparentemente grotteschi. Veri e propri “rebus” - verrebbe da dire - in cui il soggetto e la rappresentazione del “set” danno vita a equivoci spaziali e temporali che disorientano lo spettatore.

L’ironia, ma anche un sottile smarrimento sono sentimenti che fanno da sfondo ai suoi storyboard, espressione consona a un percorso quasi seriale in cui ogni dipinto pare aggiungere un tassello del puzzle. Alcuni leit motiv caratterizzano il lavoro di Accardi in un concatenarsi di accadimenti “fuori luogo” (appunto) che si verificano o minacciano di verificarsi in un tempo sospeso, sempre al confine tra realismo e fiction. Il palcoscenico della sua pittura si alterna tra contesti indoor o outdoor: i primi quasi sempre riferiti a luoghi artistici, come musei, gallerie o storici teatri.

I secondi, invece, vengono inseriti nella banale quotidianità urbana di una megalopoli occidentale, quella stessa banale quotidianità che nell’immaginario collettivo e mediatico appare sempre più vulnerabile da catastrofi ignote. Nei quadri di Accardi, però, l’oscura minaccia assume sembianze zoomorfiche - ora uno struzzo, ora un rinoceronte - creature ancestrali che appaiono sullo stesso campo visivo della scena e determinano un corto circuito narrativo. Il “misplaced”, ovvero il processo di “discredito del mondo reale” (come direbbe Dalì) è in alcune opere ulteriormente alimentato dalla presenza di soggetti tratti dall’universo dei comics e dei film d’animazione, come i nanerottoli “minion”, paladini di una pericolosa cattiveria virtuale.

Le “creature” di Pablos qui sono parte integrante della rappresentazione oppure, proprio come nella cinematografia d’animazione, sono il frutto di un virtuosismo mediatico che sovrappone realtà e immaginazione, cronaca a sogno. Ma lo spettatore si domanda: a quali soluzioni alludono i rebus di Accardi, che sono sempre e comunque costellati di citazioni e riferimenti alla storia dell’arte, quasi come fosse la cultura d’Occidente il vero bersaglio delle sue allucinazioni pittoriche? è lo stesso artista a definire la sua arte una “pittura concettuale”, aggettivo che rimanda ad altre stagioni culturali e quasi sempre posto in antitesi con la cosiddetta arte figurativa. Un’antitesi superficiale, direbbe certamente Sgarbi, considerando l’immenso universo simbolico di cui è impregnata la stagione pittorica fin dal Medioevo. Un esempio ne è l’elemento naturalistico (gli animali), sempre presente nei dipinti di Accardi, che è stato a più riprese utilizzato dagli artisti ora come strumento esorcizzante del male, ora come allegoria di positività e catarsi in rappresentazioni socio-religiose. Nella sua celebre “Annunciazione”, Lorenzo Lotto pose al centro della scena un gatto (non un cane) come simbolo infernale atto a rappresentare la fuga del Maligno di fronte al Messaggero celeste.

La simbologia laica degli animali nel Rinascimento ha esempi straordinari nella pittura di Leonardo, basti ricordare la celebre Dama con l’Ermellino, laddove l’artista accosta alla nobildonna Cecilia un piccolo e candido predatore che nei bestiari medievali rappresenta virtù come la purezza, la genuinità e la pacatezza, oltre ad essere connesso alla nobiltà e alla regalità. Anche nell’arte contemporanea, gli animali hanno mantenuto una valenza ora simbolica, ora addirittura mistica, basti pensare alle rappresentazioni dello “sciamano” Joseph Beuys, alle performance dell’azionista viennese Hermann Nitsch, alle tigri e ai lupi imbalsamati di Cai Guo-Quiang, ai cavalli imbalsamati di Maurizio Cattelan, ai cani randagi morti di Jan Fabre, fino agli squali sezionati di Damien Hirst. Nell’opera di Accardi, gli animali che irrompono sulla scena richiamano in vita l’archetipo junghiano che nella visione onirica è sempre rivelatore di verità, nella consapevolezza che la Vita non appartiene solo all’uomo, e che anzi «la vita animale fu anticipatrice di quella umana e gli animali furono i compagni più prossimi dell’uomo sia nella realtà che nella fantasia».

L’artista rappresenta coattivamente lo struzzo cioè un uccello minaccioso, che nel bestiario psicoanalitico simboleggia la paura irrazionale per “la morte invisibile proveniente dal cielo”; un concetto poi ripreso dal cinema di Alfred Hitchcock nel celebre film “Uccelli”. Nella sua poetica marcatamente post-surrealista, Accardi attinge poi involontariamente all’universo immaginifico di Max Ernst, che per lungo tempo si identificò con un uccello e nel 1929 inventò un alter ego, “Loplop” l’Essere Superiore degli Uccelli. Nelle metamorfosi di Ernst, l’uomo-uccello diventa una figura mitica che emerge dalla materia primordiale e determina le sorti del mondo. Traslando questa stessa immagine ad oggi osserviamo la presenza ossessiva dello struzzo come minaccia incombente sulla modernità e allo stesso tempo sinonimo di catarsi; una catarsi che per compiersi non può che affondare gli artigli nella storia, nei suoi simboli e nelle sue effigi. Quale luogo del delitto allora più ideale del museo, la cattedrale del terzo “millennio” che ha visto assurgere il contenitore a ruolo più determinante del contenuto stesso?

L’opera di Accardi, però, resta in bilico tra drammaticità e un’ironia che trascende nel pop; al punto che le creature dei suoi “misplaced” - a cui si aggiungono i buffi giallognoli comics - sembrano spesso i frammenti decontestualizzati di una realtà web, miscuglio (anzi “miscela”) di immagini apparentemente senza senso; fuori luogo, appunto, come lo erano l’orinatoio di Duchamp e i barattoli di zuppa di Andy Warhol.

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Nel 1964 nasce a Sapri Angelo Accardi. Gli esordi artistici sono caratterizzati da un’ossessiva ricerca sulla figura umana, che egli ben presto stravolge, conferendole una dimensione più onirica e simbolica. Una breve parentesi all’Accademia di Belle Arti di Napoli segna l’inizio di una crisi d’identità artistica.

In questo periodo si avvicina all’astrazione e alle opere di artisti come Emilio Vedova e Alberto Burri, dei quali amerà l’energia che in seguito cercherà di trasmettere nel proprio lavoro.

Verso la fine degli anni ‘80 si dedica con insistenza alla scultura in marmo, qui ritrova la passione per i classici greci e romani.

Nei primi anni ‘90 nelle sue tele compaiono temi a sfondo sociale: l’essere umano è spesso avvolto da una caligine umida, ovattata: il ciclo “Human Collection”, è anche il momento delle prime esposizioni in prestigiose gallerie a Roma, Milano, Monaco di Baviera. Una mostra a Vancouver dà il via alla collaborazione con il coreano Robert Kwon che durerà cinque anni. Il 2001 è l’anno in cui avviene il connubio con tre gallerie di Salerno, Rovereto e Milano.

Fanno seguito diverse personali e collettive, tra le quali “Speed generation” e “Vicious”. Nel 2006 entra in contatto con il gruppo di nuove avanguardie “Tantarte” ed espone a Shanghai. Nello stesso anno è protagonista di una mostra itineran- te: 15 sue tele del ciclo “Enjoy the Silence” vengono esposte a Firenze, Innsbruck, Barcellona e Budapest. Intanto, cresce - in Italia e all’estero - l’interesse della critica e del collezionismo intorno al lavoro di Angelo Accardi. Lo storico dell’arte Marco Vallora, nel 2011, lo seleziona per la 54a Biennale di Venezia. Nel 2014 inizia a lavorare con Avant Gallery di Miami e Ranson Gallery di Londra. Nel 2017 una grande mostra a New York segna l’inizio di un sodalizio con Eden Gallery. Seguiranno Miami, Mykonos e Tel Aviv. Nel 2022 promuove un progetto di arte pubblica con l’installazione simultanea a Milano, Palermo e Venezia di “Poetry”, una scultura monumentale che, in un mondo dispotico, rimette al centro l’essere umano. Nel 2023, una mostra a Dubai consolida ulteriormente la sua internazionalità.

Ad oggi le sue opere sono distribuite in esclusiva da Eden Gallery, che vanta gallerie prestigiose a New York City, Miami, Londra, Aspen, Las Vegas e Dubai. (a cura di Luigi Zoppelli)

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