Cantine Pravis di Lasino: i vini del territorio
di Nino D’Antonio
Di storia ce n’è tanta. Forse fin troppa per una cantina. Ma dietro, c’è l’antico casato dei Pedrini, che da una generazione all’altra ha fatto vino, tenendo in vita l’amore per questa terra, anche se poca e avara.
Ne parlo con Domenico, all’ombra di quelle guglie dolomitiche, che danno un irripetibile fisionomia al paesaggio trentino.
“Sì, bisogna che si arrivi alla mia generazione perché le cose cambino.
L’orgoglio dei lontani trascorsi (c’è un atto di proprietà che risale alla metà del Seicento) ha significato per secoli solo fatica e tante privazioni…..”.
Poi, nel ’72, la grande svolta. O meglio, la felice intuizione di accorpare un po’ di particelle agricole, visto che prese singolarmente erano insufficienti anche per il più modesto progetto. A cominciare dalla legittima ambizione d’imbottigliare il proprio vino, fino ad allora venduto sfuso e con utili più che modesti.
Nasce così l’Azienda Pravis (dal nome di un vigneto di Muller Thurgau), che vede insieme le particelle di tre soci (Domenico Pedrini, Gianni Chistè, Mario Zambarda) per raggiungere così la quota di dieci ettari.
Che non sono pochi, se si considera l’esasperato frazionamento della proprietà terriera nel Trentino.
Oggi la Pravis può contare su 35 ettari, e soprattutto su un ventaglio di vitigni fra i più accreditati del territorio.
A partire dal Nosiola (l’unico Bianco autoctono) alla Schiava al Riesling al Pinot Nero al Sauvignon al Kerner.
Parliamo di vini largamente accreditati, grazie alla loro riconosciuta identità che li colloca in un segmento superiore, rispetto ad altri vini della medesima tipologia. Ne è prova non solo la diffusa presenza sui mercati esteri (l’export supera il 70% della produzione e va dagli Stati Uniti alla Russia), ma il credito – e direi il prestigio – di cui i vini godono sull’intero territorio nazionale.
La partecipazione dei tre soci non ha mai creato conflittualità. Ognuno gestisce in maniera autonoma il suo comparto. A Domenico Pedrini è affidata la Cantina, con quello che essa rappresenta per chi fa vino. La sua passione l’ha trasmessa, col più convinto entusiasmo, alle due figliuole, Erica e Giulia, entrambe enologhe, la prima anche con un master in Germania, e la seconda anche con una laurea in Economia.
Domenico, due volte nonno, ha una conversazione ricca di riferimenti storici e letterari, e conserva intatte le sue grandi passioni: la montagna e la pittura. Quest’ultima, in ogni sua forma e linguaggio, vede in testa Vermeer.
“Da oltre ventanni abbiamo iniziato a rinnovare i vigneti, mettendo a dimora vini resistenti alla peronospera e all’oidio. Intanto, continuiamo ad accogliere gruppi sempre più folti di visitatori, ai quali raccontiamo la storia dei nostri vini. Che sono “diversi” proprio grazie a questo entroterra di tradizioni e di cultura”.
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