L’inquieta ricerca di Elena Armellini
di Elena Panciera
La ricerca in continuo divenire di Elena Armellini, scultrice e artista figurativa, si sposta attraverso diversi linguaggi, si fonde con i ricordi e si proietta nell’inquieto della memoria. Quasi vittima di impulsi creativi primordiali, non pone limiti all’immaginazione, se non quelli fisici imposti dalla materia, pittorica o costruttiva che sia. Di origine veneta, ma strettamente legata al mondo austriaco e tedesco, dove ha vissuto in passato e attualmente vive, Armellini è dominata, guidata e regolata da tre parole chiave, tre esigenze di ricerca: l’Imprevisto, lo Spazio e la Materia. Le sue opere sono quindi un tentativo di risposta a queste istanze.
L’Imprevisto è ciò che si può definire il filo conduttore della sua ricerca. Armellini costruisce un’immagine accogliente, con colori che invischiano come melassa, per poi lasciare lo spettatore all’angolo con una nota stonata, quasi un lampo, che scardina la prima sensazione rassicurante e si trasforma in una candida inquietudine. Il pensiero dell’osservatore, ammaliato da superfici contrastanti, resta spaesato di fronte alla subitanea lettura dell’inquietudine, quando scorge l’inaspettato.
Questo intento è palesemente dichiarato nella serie Urban, le opere site-specific nate dalla riflessione sull’urbanizzazione delle città contemporanee e dall’instabilità dei tempi attuali. Le opere di questa serie sono piattaforme articolate nello spazio che dialogano a distanza, formando con la struttura “atmosfera”, che le sostiene, una rete di comunicazione formale che in alcuni casi si espande, in altri implode. Armellini ha creato un mondo di piattaforme sorrette da improbabili fondamenta che tiene con il fiato sospeso lo spettatore, simulando la catastrofe preannunciata della caduta del mondo, come un luna park abbandonato.
Lo Spazio è protagonista sintetizzato e deformato nei lavori della serie WP, palcoscenico di un mondo che è costruzione di intime memorie. Questo lavoro è nato dalla riflessione sulle possibilità espositive di un luogo conosciuto solo attraverso immagini documentaristiche, quindi non percepito da esperienza diretta, ma frutto della creazione di una spazialità mentale, attingendo alla memoria di luoghi mai visti, mai vissuti, mai sperimentati. Armellini ottiene un risultato lontano dallo stereotipo, fatto di segni e di tracce che portano alla memoria soltanto l’essenziale della forma.
E infine, la Materia: spesso è quest’ultima che decreta il destino dell’opera. La materia parla, si interroga sulla sua forma finale, lascia il suo ruolo di semplice medium e assume un ruolo da protagonista. Il progetto iniziale viene spesso accantonato per lasciare spazio al dialogo delle materie usate. Le superfici alternano trame e inconsistenze a pesi e strutture tipiche del ritrovamento archeologico. Nella serie Resti d’infanzia, l’alternanza della materia carica di drammaticità anche la rappresentazione del soggetto. Il gioco, la memoria di un mondo interiore, vengono dimenticati e riscoperti. Il peluches si alterna alla pietra, la lamiera dell’auto giocattolo viene fagocitata dal cemento, che la restituisce sotto forma di rottame interiore, di gioco interrotto.
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