Dal Raboso Piave DOC al Malanotte Piave DOCG
di Francesca Rizzo
Siamo poco sotto le colline di Conegliano, dove la pianura alluvionale presenta un terreno sassoso di riporto detto appunto “grave”.
Questo è il territorio dove re-gnava sovrano un vitigno: il Raboso, considerato il vero autoctono, la cui storia si perde nei secoli, fino all’età romana.
Pare infatti che fosse il vino citato da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, a nome “Picina omnium nigerrima”, un vino il cui colore era più nero della pece, ritenuto indigeno, poiché nei secoli ha caratterizzato con la sua preponderante presenza, la pianura del medio Piave, in provincia di Treviso.
È coltivato anche nel padovano, nella zona di Bagnoli nella variante Raboso Veronese, lì introdotto dai monaci benedettini nel corso del Basso Medioevo e chiamato “Friularo”.
Malanotte è anche il nome scelto per la nuova DOCG la cui uva è proprio il Raboso Piave, che viene vinificata con una particolarità: un leggero appassimento delle uve, da un minimo del 15% a un massimo del 30%. Ma torneremo più avanti a parlare del presente, adesso vorrei raccontarvi la storia di questo vitigno e il suo legame forte, fortissimo, con il territorio da cui proviene. Infatti si può considerare il Raboso come il vitigno a bacca rossa più diffuso nella zona fino alla fine dell’800, con citazioni che partono dal 1500 che descrivono il vino derivante come un rosso potente, rustico, difficile da domare: insomma un vino “rabbioso” che nella parlata veneta diventa “raboso”. Le sue caratteristiche peculiari – elevate acidità e tannicità – ne fanno però un vino che si presta ad essere conservato, cosa ben apprezzata nei secoli scorsi, e quindi facilmente trasportabile verso Venezia e verso le aree di commercio di quest’ultima.
Già all’epoca una delle più alte elevazioni per il Raboso era la versione passita che furoreggiava presso i palazzi nobiliari Veneziani, prodotto con il metodo di appassimento sui graticci fino a marzo-aprile, per poi procedere con l’ammostamento.
Ne risultava un nettare, corposo e di grande spinta aromatica, comunque dotato di una acidità residua che ne permetteva l’affinamento per anni. Si parla di bottiglie di oltre cinquant’anni perfettamente conservate, il cui vino era decisamente ottimo!
Tradizione voleva poi che alla nascita di un figlio si mettesse da parte una bottiglia di passito per quando il nascituro sarebbe convolato a nozze, e la storia recente racconta come durante l’occupazione di Vittorio Veneto da parte delle forze Austroungariche nel 1917, queste fecero razzìa del Raboso passito nella cantina vescovile, accontentandosi delle bottiglie trentennali e lasciando le più vecchie nel dubbio che fosse ancora bevibile!!
Anche Antonio Carpenè lo cita come uno dei primi vitigni da lui sperimentati in vinificazione nel 1871 considerandola una delle uve più importanti del territorio veneto. Fino agli anno ’50 il Raboso era il vitigno più diffuso lungo la pianura del Piave fino a Oderzo (nella zona più a sud è presente ma con il nome di Raboso Veronese, proveniente da un altro clone), coltivato prevalentemente con impianti di tipo Bellussi a raggiera per produzioni copiose, il cui vino era al tempo stesso vino-alimento per le genti e fonte di guadagno, essendo venduto anche come vino da “rinforzo e taglio” soprattutto nei mercati piemontesi e a volte in Francia. L’avvento di varietà internazionali, più conosciute e facili da produrre e commerciare, contribuirono al declino del Raboso, fermato soltanto dalla passione di pochi e dal forte legame al territorio e alle tradizioni che ancora manteneva. Le fatiche di alcuni produttori sono state ripagate, visto che nel 2010 il «Piave Malanotte» o «Malanotte del Piave», ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata e Garantita.
Una parte delle uve, dal 15% al 30%, viene appassita prima di essere pigiata, e per almeno trentasei mesi questo vino dal sapore austero, sapido e caratteristico, riposerà nelle cantine dei produttori, in parte in botti (almeno dodici mesi) e in parte in bottiglia (almeno quattro mesi). Alla degustazione questo “Malanotte” DOCG si presenta come un vino di carattere, corposo e con una struttura ben costruita.
L’appassimento smussa le spigolosità del vitigno, lo ingentilisce un poco, sviluppando aromi di viola, di ciliegia marasca con note surmature.
In bocca si espande e avvolge il palato con una bella bilanciatura tra le note dure e la morbidezza tipica delle uve appassite. Con il tempo migliora, darà sicuramente il meglio intorno ai 5-6 anni dalla vendemmia. Vitigno molto eclettico il Ra- boso, tanto che dobbiamo citare altre versioni disponibili che ben figurano: un rosè, ottenuto un tempo “lavando” il vino bianco nelle bucce del Raboso e ora vinificato in purezza con breve macerazione, ma spesso in cuvèe con altri vitigni quali Pinot Nero, e una versione frizzante, che allieta - servito ben fresco - le calde estati delle grave del Piave.
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