Gambrinus: le radici del passato proiettate nel futuro
di Giancarlo Saran
Vi sono locali con una tale storia alle spalle, un palmares da fare invidia, con la dovuta ammirazione, che ritieni più che legittimo possano marciare di conserva, una sorta di galleria con vista di cucina. Prendiamo il Gambrinus della famiglia Zanotto in quel di San Polo di Piave. Locale Storico d’Italia, fondato nel 1847, prima ancora dell’Unità d’Italia.
Posto sull’antica via Postumia, creata in epoca romana per collegare due realtà strategiche per l’Impero, Aquileia sulla riva adriatica e Genova in quella tirrenica. Poi, con il tempo, via commerciale con un’ideale area di sosta, grazie alle risorgive del Lia, un piccolo corso d’acqua ricco di molte bellezze, tra cui gamberi d’acqua dolce, ideale per allevare anguille e storioni, tanto è vero che, in epoca serenissima, erano molte le carrozze nobiliari che sostavano per momenti di rilassante piacere.
Su queste basi nasce una piccola osteria, stazione di sosta per gente di passo. Da cosa nasce cosa, la famiglia Zanotto, con il fondatore Giacomo, ci sa fare e quando la rileva la seconda generazione, Luigi, le basi si consolidano ulteriormente, anche perché la sua Marianna si era inventata una curiosa salsa, detta slava, frutto vuoi mai di dritte pescate qua e là dai suoi commensali provenienti da paesi e tradizioni diverse. I Gamberi sono prontì lì, involontariamente, per il sacrificio supremo. Gli anni del boom economico sono dietro l’angolo, quelli di una tranquillità economica a lungo rincorsa e meritata, ma per quelle strane sliding doors della vita, il giovane Adriano, a soli ventunanni, si vede proiettato in prima linea, per la prematura scomparsa del papà.
Testa bassa e pedalare, domani è un altro giorno. Accanto a lui, nel tempo, si affiancano personaggi che hanno trovato nel Gambrinus solido riferimento di qualità e passione. Tra questi Bepi Mazzotti, uno dei padri fondatori della moderna cucina trevigiana. I Gamberi alla Gambrinus diventano una bandiera senza tempo, tra gli storici Piatti del Buon Ricordo ancora in pista e mai cambiati, nonostante le diverse eccellenze che, via via, la cucina di Adriano ha saputo proporre. Diventa testimone della cucina trevigiana non solo a livello nazionale, ma anche nei vari continenti, ambasciatore culinario incaricato dall’ENIT (l’Ente Nazionale per il Turismo) di promuovere il meglio del Made in Italy. A New York è di casa a Le Cirque di Sirio Maccioni, che poi ricambierà l’amicizia alla sua tavola gamberosa. L’ultima missione con il passaporto dei fornelli nel 2005, a Giacarta, dove gli affidano quindici giovani mestoli locali per insegnargli l’arte della buona cucina nazionale. Una bella sfida quando ti presentano sul tavolo le Canoce Tiger, grandi tre volte le nostrane. Ambasciatore catodico, chiamato spesso, assieme al fratello Armando, a duettare ai fornelli con Ave Ninchi nella leggendaria “A tavola alle 7” di mamma RAI. E’ proprio in una delle sue missioni all’estero, nel 1981 a Parigi, che essendo da poco mancato l’amico di sempre, Bepi Mazzotti, ad Adriano viene l’idea di come rendergli omaggio a futura memoria. Nasce così il Premio Gambrinus Mazzotti, una jam session letteraria sulle tematiche care a Mazzotti: viaggi, alpinismo, paesaggio. Nell’albo d’oro nomi quali Freya Stark, Cesare Maestri, Kuki Galmann e molti altri. Ma Adriano non si ferma. Galeotti quei gamberi del Lia fonte di mille idee. Se a Hollywood hanno la statuetta d’oro, a San Polo era conseguente il gambero, dorato come si conviene, da assegnare ai maestri dell’arte culinaria, quella altra, che racconta e descrive quel mondo a cui i Zanotto hanno dedicato una vita. Un premio ad personam, assegnato via via a penne quali Luigi Veronelli, Massimo Alberini, Vincenzo Buonassisi, Carlin Petrini.
La leggenda di un piatto può passare attraverso chiavi di lettura diverse, e qua al Gambrinus una madeleine senza tempo è il grande tovagliolone con cui venite bardati prima di affrontare la prova di toreador di carpace. Nel decalogo che ne accompagna il servizio poche regole ma chiare. Mettete da parte forchetta e coltello. Sezionate con precisione chirurgica il crostaceo nelle sue parti, avendo cura sempre della massima pulizia, ovvero del succhiarsi le dita tra una fase e l’altra. E così via sgamberando. Si sa, in ogni bella storia dalle migliori tradizioni il passaggio generazionale non è mai da dare così per scontato. Ad Adriano gli era capitata improvvisa. Per i suoi tre ragazzi, invece, è stata una successione naturale. Marianna si occupa dell’Osteria, il front culinario di tutta la brigata. Il primogenito GianMaria è custode della cantina secolare, con l’Elisir che, assieme ai Gamberi, è l’altra leggenda di questa storia.
Pierchristian è quello di mezzo ed è a lui che papà Adriano, con saggia lentezza, ha affidato via via tutta la tradizione da trasmettere al futuro. E qui si apre un’altra storia, dai risvolti coinvolgenti ed intriganti, com’è l’empatia a 360° di Zanotto IV. Tutti noi, prima di scendere nella pista della vita, siamo presi dalle tentazioni di intraprendere strade diverse, o possibili incroci che le facciano convivere, con piacevole armonia reciproca. Pier, nel dna, sentiva ribollire creatività artistica, che non era necessariamente detto fosse quella dei fornelli a trazione gamberesca. Inizia dalla fine, quella del menù naturalmente, cioè la pasticceria. E qui che trova quell’equilibrio che cerca tra intuizione, allestimento, tocco di creatività finale, se originale ancor meglio. “In pasticceria si respirano i colori, le composizioni più diverse”. Il ragazzo promette bene. Non ancora trentenne viene premiato dall’Accademia Italiana della Cucina come Cuoco emergente a livello nazionale.
Ma… c’è sempre un ma. Lo conforta un amico di famiglia, Il Divin Gualtiero, ovvero Marchesi, il primo tristellato nazionale, che dalla meneghina via Bonvesin della Riva era approdato nella tranquillità collinare di Erbusco. In una rilassante passeggiata tra le terme euganee lo rassicura. “Ricordati una cosa. E’ più facile che un pasticcere diventi un grande chef che non il contrario”. E vai quindi di tiramisù per risalire la corrente. Approda allo stellato milanese Joia di Pietro Leeman, un pioniere della cucina vegetariana. “Da lui ho imparato come inserire la propria personalità nella cucina”. Fa parte poi della brigata del più giovane tristellato di sempre, Massimiliano Alajmo. “Massi mi ha insegnato il valore della materia prima. Un impegno costante, ma condito da quell’ironia che è la chiave ideale per capire i misteri del mondo”, non solo in cucina. Li affianca la passione per l’arte, in particolare la pittura, con stile personali e diversi.
La famiglia Zanotto ha trovato la quadra per un rassicurante passaggio del timone di comando. Nel 2007, trentenne, Pier prende le redini della brigata, papà Adriano rassicurante alle spalle. Il giovane erede ha una sensibilità spiccata, al passo con i tempi che cambiano, dove sente che la tradizione è il valore della propria storia, del proprio territorio, ma non può diventare una culla entro cui rinchiudersi. Se è vero che “il cibo oggi ha perso la sua sacralità, è trattato al pari di un oggetto di consumo come altri” è anche vero che “bisogna avere cura di tutto ciò che poi non si vede sulla tavola, ma senza il quale nessuna portata potrebbe poi esistere”. Ecco allora una selezione attenta della materia prima, dei produttori, di quanto arriva in cucina prima di essere poi elaborato per la tavola. Non basta la creatività se non è abbinata ad etico buon senso.
Pier spariglia le carte. Nel 2008, approfittando di una rara e temporanea assenza dei genitori in vacanza, trasforma l’american bar in osteria, luogo quindi di prima accoglienza dove i piatti mantengono tradizione e qualità anche senza la grande bavaglia ad uso gamberesco. Rivitalizza l’orto da sempre fonte di materia prima per la cucina, selezionando i prodotti con la massima attenzione per la stagionalità, compresi quei fiori edibili che, oramai, fanno parte della architettura sul piatto. E’ un crescendo rossiniano. L’Osteria viene premiata con il Bib Gourmand per il rapporto qualità prezzo. Nel 2013 l’ambito riconoscimento Bravo Bio, promosso dalle testate de Il Sole 24 Ore per l’approccio green complessivo della sua cucina. Nel 2021, tra i primi in Italia, la Stella Verde Michelin (un trifoglio a cinque petali) per l’approccio etico di una cucina sviluppato a vari livelli, dall’utilizzo dei prodotti naturali alla selezione dei produttori conseguenti. Pier attualizza molte delle ricette storiche del Gambrinus, senza stravolgerne l’identità, ad esempio gli storici risotti al melone e limone come quello fragole e pepe rosa e poi ci mette del suo. Su tutti la porchetta di storione, con erbe aromatiche dell’orto e pan brioche all’arancio. Mantiene quella vis artistica che lo ha sempre affiancato nel viaggiare sui terreni della fantasia e dell’arte applicata con un particolare feeling verso la street art. Tanto è vero che sogna un giorno di dedicare un piatto al suo artista prediletto, Mimmo Rotella.
Sui titoli di coda non poteva mancare il saluto della staffa con l’Elisir di raboso del Piave. Un’invenzione, dice la leggenda, nata da un errore per mano del padre fondatore Giacomo. Fatevi accompagnare a vedere le vetrinette che custodiscono l’evoluzione di questa piccola creatura che ha stregato il palato di generazioni, presente nientemeno che alla cena di gala del presidente Obama per il suo insediamento alla Casa Bianca. Un’evoluzione che ha saputo cavalcare tempi diversi. Una sorta di raboso passito (dalla ricetta ovviamente segreta). Negli anni venti confezionato entro anforette dipinte a mano, rispettivamente per Dame e Cavalieri, presentato come sangue del Piave, omaggio alle mille battaglie sul fronte del fiume sacro alla patria. Fu Mazzotti, negli anni quaranta, a suggerire a Zanotto che forse era meglio ingentilirne l’anagrafe, augurio di sempiterna pace futura. Nasce così L’Elisir di raboso del Piave, anche questo con rivisitazioni successive di grafica e confezione conseguente, che oramai è conosciuto ovunque. Gli è dedicato anche un ricettario dove si scopre che si puo’ gustare lungo un percorso eclettico, dallo spritz ad abbinamenti vari in versione liquida, ma anche solida, ad esempio con il foie gras d’anatra.
Ecco, allora, che attirati dalla curiosità del Gambero da sgranocchiare e succhiare esentati dai codici del galateo di Monsignor della Casa si ha modo di scoprire molte altre e golose storie, grazie alla famiglia Zanotto, custode di una tradizione proiettata nel futuro.
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