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Il segreto del Capitano Shaddock e la leggenda del Pompelmo

di Enzo Gambin

In Italia, il pompelmo è un agrume rimasto un po’ in disparte, perché battuto in popolarità da arance, mandarini, clementine e limoni, della sua storia si sa poco.

Nel 1837, James MacFadyen, 1799-1850, medico e botanico scozzese che ha dato un contributo significativo allo studio delle piante della regione caraibica, denominò il pompelmo Citrus paradisi, un ibrido naturale tra il pomelo (Citrus maxima) e l’arancio dolce (Citrus sinensis).

Il termine “paradisi” fu scelto da MacFadyen per evocare l’idea di un frutto esotico e delizioso, quasi paradisiaco. Questo nome rifletteva la percezione del pompelmo come un frutto nuovo e affascinante, che portava con sé un senso di meraviglia e scoperta, tipico delle piante esotiche introdotte in Europa durante quel periodo.

Già nel 1750, il naturalista Griffith Hughes, 1707-1750, chierico e naturalista, parlava nella sua “Natural History of Barbados” di “golden orange”, “arancio d’oro”, e di “forbidden fruit”, “frutto proibito”, nomi che evocavano un senso di esotico e misterioso, e che dalle descrizioni ricordano entrambi il pompelmo

C’era anche un frutto che assomigliava al pompelmo conosciuto come “shaddock”.

Hans Sloane, 1660-1753, medico e naturalista britannico, riferiva che lo “shaddock” fu chiamato così in onore del capitano di una nave delle Indie Orientali, un certo Philip Chaddock, che, durante una sua visita, lasciò i semi di questo frutto a Barbados, isola situata nella parte sud-orientale del Mar dei Caraibi.

A questo proposito, storici e botanici sono incerti su quanto dare credito al racconto di Sloane e hanno considerato misteriosa l’esistenza del Capitano Shaddock, in quanto non sono riusciti a documentare la sua esistenza negli archivi dell’Ammiragliato Britannico o della Compagnia delle Indie Orientali, nemmeno nei testi della Hakluyt Society, una società di pubblicazione fondata nel 1846 e con sede a Londra,specializzata nella documentazione di viaggi storici, esplorazioni e altro materiale geografico.

David Fairchild Swingle, 1879-1952, botanico e agronomo americano noto per i suoi studi sugli agrumi, affermava: “l’elusivo Capitano Shaddock… il cui nome fino ad ora non è stato trovato nei registri né del governo né delle spedizioni private.”

Questo suggerisce che la storia del Capitano Shaddock potrebbe essere più una leggenda che un fatto storico documentato, il che ha alimentato varie narrazioni.

Anche se la storia del Capitano Shaddock potrebbe essere in parte leggendaria, è comunque un racconto affascinante che sottolinea l’importanza dei viaggi e degli scambi culturali nella diffusione delle piante e dei frutti che conosciamo oggi.

Sta di fatto che, nel 1990, alcuni ricercatori hanno studiato attentamente le descrizioni storiche e botaniche dello “shaddock” di Hans Sloane, del “forbidden fruit” e del “golden orange” di Griffith Hughes.

La conclusione è stata che lo “shaddock” è un “pomelo”, ossia un agrume di grandi dimensioni che è probabilmente il progenitore del pompelmo; il “golden orange” un ibrido del pompelmo; il “forbidden fruit” un frutto diverso ancora, un ibrido naturale tra il pomelo e l’arancia dolce.

Da considerare che il “pomelo”, è una pianta che è stata coltivata per secoli in Oriente, in particolare nel sud-est asiatico e nella Cina meridionale.

La più antica menzione si trova nel Tributo di Yu, del 2200 a.C. circa, dove si legge che “il fascio conteneva piccole arance e pomeli”.

Si presume che sia stato introdotto dagli aborigeni nelle isole Figi, nell’oceano Pacifico, dove si è naturalizzato e cresce spontaneamente in vere e proprie foreste fino a un’altitudine di 800 metri.

Durante il Diciassettesimo secolo, i marinai e i commercianti europei, come quelli della Compagnia delle Indie Orientali, viaggiavano frequentemente tra l’Asia, le isole del Pacifico e i Caraibi, da qui è facile che si sia creata la leggenda del Capitano Shaddock.

Anche l’etimologia della parola pompelmo ha due interpretazioni contrastanti, potrebbe derivare dall’unione dei termini olandesi “pompoen”, che significa “zucca”, o “pompel”, che significa “grosso” o “gonfio” e “limoes”, che potrebbe essere o na derivazione dal malese “limau”, che significa “limone”, o dal portoghese “limões”, con lo stesso senso di “limoni”.

Altra teoria è che “pompelmo” sia una corruzione graduale del portoghese “pomposos limões”, “pomposo o grosso limone”, termine peraltro acquisito dal “tamil” “pampa limāsu”, lingua parlata dai territorio che si affacciano sull’oceano Indiano.

Curioso è, invece, il nome del pompelmo in inglese, grapefruit, derivato da “grape”, “uva” e “fruit”, “frutto”, probabilmente perché i frutti crescono in grappoli simili a quelli dell’uva.

Peraltro, nel 1664 Wouter Schouten, 1638-1704, chirurgo olandese interessato alla scienze naturali, nel suo libro “Oost-Indische Voyagie,” pubblicato nel 1676, dove raccolse le sue osservazioni e esperienze durante i suoi viaggi con la Compagnia delle Indie Orientali Olandesi, descrisse il sapore dei cedri come simile a quello dell’uva acerba.

John Lunan, 1771 – 1839, botanico e religioso inglese, che ha lavorato intensamente sulla flora della Giamaica, nel 1814, scrisse un libro “Hortus Jamaicensis” in cui affermava che il nome “grapefruit” (pompelmo) era stato scelto perché il frutto ricordava il sapore dell’uva. Tuttavia, molti studiosi hanno ritenuto questa spiegazione imprecisa, poiché il sapore del pompelmo non somiglia a quello dell’uva, ma piuttosto perché i frutti crescono in grappoli simili agli acini d’uva.

Ma alla fine, quali sono le origini del pompelmo? Supponendo che il pomelo sia stato introdotto dagli aborigeni nelle isole Figi e che, successivamente, Cristoforo Colombo, nel suo secondo viaggio nel 1493, fece seminare cedri, aranci e limoni, come racconta Bartolomé de Las Casas (1489-1566) nella sua “Storia delle Indie”, dall’incrocio del pomelo con questi agrumi, particolarmente con l’arancio dolce, nacque il pompelmo.

Probabilmente fu per questo che Oscar Wilde, 1854 –1900, definì il pompelmo: “un limone cui si è presentata un’occasione e ha saputo approfittarne”.

Negli anni Venti dell’Ottocento, il medico e agricoltore francese Odet Philippe, 1787 – 1869, fu uno dei primi coloni europei a stabilirsi nella contea di Pinellas County, in Florida, dove si trova l’odierna Tampa, piantò un po’ di pompelmi e regalò dei semi ai vicini, che piacquero e questi contribuirono a diffonderli ulteriormente.

Aveva 19 anni quando Kimball Chase Atwood, 1853 – 1934, si trasferì da New York in un terreno che aveva acquistato di 265 acri vicino a Palmetto, in Florida a sud della Baia di Tampa, iniziò a piantare pompelmi e fondò la Atwood Grapefruit Company.

Rapidamente questa azienda ebbe una delle più grandi piantagioni di pompelmi al mondo, con 16.000 alberi piantati in 96 file lunghe un miglio ciascuna, si utilizzavano pozzi artesiani e sistemi di irrigazione avanzati, costruì un molo e un magazzino di imballaggio per facilitare il trasporto dei pompelmi verso Tampa tramite navi a vapore.

Nel 1910, in questa immensa piantagione si scoprì un albero dai frutti rosa anziché gialli e, così, nacque il pompelmo rosa; fu una mutazione casuale che fu registrata dall’azienda nel 1929.

La Atwood Grapefruit Company prosperò e divenne famosa non solo negli Stati Uniti, ma anche all’estero, un mercato rivolto alle élite ricche e aristocratiche, con clienti illustri come il re Giorgio V d’Inghilterra.

Questa azienda giocò un ruolo cruciale nello sviluppo dell’industria del pompelmo in Florida, contribuendo a trasformare la regione in uno dei principali produttori di questo frutto. La sua iniziativa ha portato a una significativa espansione della coltivazione dei pompelmi, che ha avuto un impatto duraturo sull’economia agricola locale.

A fine Ottocento, lo stato della Florida, si dotò di ferrovie per trasportare i pompelmi negli altri stati americani, tanto che una linea si chiamava “Orange Belt Railway”.

Nell’Ottocento si consolidò anche la fama del pompelmo come agrume salutare, probabilmente grazie al suo sapore aspro e amaro.

Negli anni Trenta, negli Stati Uniti, emerse una dieta conosciuta come la “Dieta del Pompelmo” o “Hollywood Diet”, che suggeriva di mangiare mezzo pompelmo prima di ogni pasto, così si aiutava l’organismo a bruciare i grassi grazie a un enzima misterioso contenuto nel frutto. Anche se la scienza moderna ha smentito la validità di questa affermazione, la dieta del pompelmo è diventata incredibilmente popolare tra le star del cinema di Hollywood e ha contribuito a cementare il ruolo del pompelmo come simbolo di salute e benessere.

In Giappone, il pompelmo è spesso utilizzato in modo creativo nella cucina, dove viene impiegato non solo come frutta da tavola, ma anche come ingrediente per piatti salati. Ad esempio, è comune vederlo servito con pesce crudo in preparazioni come il sashimi, dove il suo sapore acidulo contrasta piacevolmente con la delicatezza del pesce. Inoltre, la buccia del pompelmo viene talvolta utilizzata per creare condimenti aromatici, come il yuzu kosho, un mix piccante di agrumi e peperoncino.

Nella medicina tradizionale, specialmente in aromaterapia, l’olio essenziale di pompelmo è spesso utilizzato per le sue proprietà stimolanti e rinfrescanti. Si ritiene che l’aroma del pompelmo possa aiutare a sollevare l’umore e combattere la depressione, inoltre, alcune tradizioni erboristiche utilizzano l’estratto di semi di pompelmo per le sue proprietà antimicrobiche, considerandolo utile per trattare infezioni della pelle e problemi digestivi.

Il pompelmo ha avuto anche il suo momento di gloria nella cultura popolare, un esempio è nel film “Una faccia piena di pugni” (“The Public Enemy”, 1931), in cui il personaggio interpretato da James Cagney, 1899 – 1986, schiaccia un pompelmo sulla faccia della sua partner durante la colazione.

L’impatto culturale di questa scena fu così grande che molte persone, soprattutto negli Stati Uniti, iniziarono a vedere il pompelmo come un simbolo di disprezzo.

Questo gesto, apparentemente banale, ha acquisito una connotazione negativa e ha influenzato la percezione del pompelmo nella cultura popolare. Da allora, il pompelmo è stato associato a sentimenti di sfida, irriverenza o addirittura aggressività.

Nel 1989, il ricercatore di farmacologia clinica David Bailey, 1945 –2022, scoprì l’effetto del succo di pompelmo, noto come “grapefruit juice effect”.

Il pompelmo contiene flavonoide, la naringina, una sostanza naturale che conferisce il sapore amaro e che può interferire con un enzima presente nel corpo umano, soprattutto nel fegato e nell’intestino. Questo enzima, chiamato CYP3A4, normalmente degrada tossine e farmaci nel corpo.

Tuttavia, quando il pompelmo inibisce l’azione del CYP3A4, alcuni farmaci, come le benzodiazepine, il paracetamolo e quelli usati per abbassare il colesterolo, possono diventare più potenti o meno efficaci del previsto, comportando rischi per la salute. Questa scoperta ha avuto un impatto significativo nel campo della farmacologia, stimolando nuove ricerche e avvertimenti medici. Di conseguenza, le informazioni su un certo numero di farmaci ora mettono in guardia sul rischio di un’interazione farmacologica avversa indotta dal pompelmo. Altri ritrovati con ottime proprietà terapeutiche sono stati, però, riscontrati nei semi di pompelmo, tanto che nel 2002 è uscito il libro “Le incredibili proprietà terapeutiche dei semi di pompelmo” di Allan Sachs, 1921-1989, medico ricercatore al New York’s Downstate Medical Center, che esplora i benefici per la salute dei semi di pompelmo, inclusi i loro effetti antimicrobici e antiossidanti. Un altro libro che si concentra sulle proprietà curative dei semi di pompelmo, con particolare attenzione alle infezioni e alle allergie, è “Le virtù terapeutiche dei semi di pompelmo” di Shalila Sharamon, nata nel 1948, e Bodo J. Baginski, 1952-2012.

Proprio per le sue molte virtù e e qualche trasgressione il pompelmo può essere visto come un soggetto di riflessione, essendo un ibrido tra il pomelo e l’arancio dolce, rappresenta l’unione di due entità diverse per creare qualcosa di nuovo e unico, simbolo della dualità e dell’armonia tra opposti.

La storia del pompelmo, introdotto in Europa come un frutto esotico e affascinante, può evocare il senso di meraviglia e scoperta, che accompagna la conoscenza e l’esplorazione, ossia un’apertura verso l’ignoto e la curiosità intellettuale.

Il pompelmo è stato percepito in modi diversi nel corso della storia, da “frutto proibito” a “paradisiaco”, va quindi interpretato in modi diversi a seconda del contesto culturale e storico.

All’apparenza, il pompelmo è un frutto semplice, ma la sua composizione chimica è complessa e, questo, può essere visto come una metafora della vita stessa, dove le cose più semplici spesso nascondono una complessità intrinseca.

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