Quando la vigna aveva marito
di Ulderico Bernardi
C’è stato un tempo in cui le viti avevano marito. Quando l’agricoltura era un’arte praticata per la sopravvivenza, più che per l’industria e il commercio. Incredibile a dirsi, è durata per migliaia di anni. Prima che le macchine felicemente liberassero l’uomo dall’immensa fatica della manualità. Con tutti i so drìti e i so rovèrsi, come si suol dire. Dato che i be nefìci portati da trattori e mietitrebbia, fertilizzanti chimici e anticrittogamici, hanno anche fatto insorgere problemi in altri tempi sconosciuti: dalla distruzione delle siepi, con la sconsolata uniformità del paesaggio rurale, all’estinzione di specie animali e vegetali, agli inquinamenti dei fiumi gonfi di sostanze nocive, fino alla dissoluzione dello spirito di comunità degli antichi villaggi. In compenso abbiamo ottenuto di più e di meglio. La speranza di vita degli uomini si è allungata di decenni, da mangiare ce n’è per tutti, altrettanto per quanto riguarda la necessità di coprirsi, di avere un tetto sulla testa, di conoscere le cose del mondo con l’istruzione a portata di ognuno, di emancipazione dalla servitù. Tuttavia, la terra insegna che nulla si ottiene senza dare. Non ci fosse stata l’onesta concimazione, l’apporto di buona grassa, il letame fornito dai bovini con relativo stallatico, maturato al punto giusto fino a divenire una sorta di burro nero da spalmare sui campi, grano, viti, trifoglio e quant’altro, a un certo punto avrebbero cessato di dare frutto sui fondi inariditi.
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