San martino di Tours
di Claudio Favaretto
L’autunno ormai avanzato ci fa desiderare ancora un po’ di tepore, quel tepore che arriva con la cosiddetta “estate di san Martino”.
E’ questo uno dei santi più popolari il cui culto è diffuso in tutta l’Europa e in modo estremamente significativo in Italia. Basta scorrere l’elenco alla fine di un atlante geografico o stradale per vedere quante località grandi e piccole portino il suo nome. E quante chiese, basiliche, monasteri siano a lui dedicati.
Quali sono i motivi che lo hanno reso così celebre e venerato? Io penso che la genuina sensibilità popolare sia stata colpita soprattutto dal gesto famoso compiuto da Martino dividendo il suo mantello per darne metà al povero intirizzito dal freddo.
E’ un gesto che commuove per l’immediatezza: Martino non ci pensa su un attimo e con un colpo di spada compie un gesto di gratuita generosità, di vera carità cristiana.
Eppure anche questo santo viene da lontano.
Era nato in una città della Pannonia, l’odierna Ungheria, nel 316 cioè pochi anni dopo l’Editto di Costantino che concedeva la libertà di culto ai cristiani. Dico questo perché Martino è uno dei primi santi non martiri della storia del Cristianesimo.
Il padre era un ufficiale dell’esercito romano di stanza in quella lontana regione dell’impero. Per questo il bambino viene chiamato Martino, cioè piccolo Marte, il dio della guerra.
Ma il padre fu presto trasferito a Pavia per ragioni di servizio. Come ogni figlio di veterani, anche il piccolo era destinato alla carriera militare che abbracciò, sotto la spinta del padre, a 15 anni con giuramento. In breve tempo il ragazzo si fece benvolere ed apprezzare al punto da essere promosso “circitor”, incarico che prevedeva l’ispezione notturna dei posti di guardia.
Durante una di queste ispezioni, mentre era di guarnigione ad Amiens, in Gallia, vide un povero seminudo intirizzito dal gelo della notte invernale a cui di slancio diede la metà del suo caldo mantello che aveva diviso con la spada.
Questo episodio segnò la svolta della sua vita perché durante il sonno gli apparve Gesù che gli consegnò il suo mantello intatto. Era Lui il povero infreddolito!
Così decise di farsi cristiano ricevendo il battesimo il giorno di Pasqua del 339.
Rimase nell’esercito ancora per vent’anni, finché si congedò e si recò a Poitiers dov’era vescovo Ilario, suo amico, da cui fu accolto calorosamente. Dopo una breve visita nella sua città natale durante la quale riuscì a convertire la madre ma non il padre, fece ritorno nella città di Poitiers nei pressi della quale fondò un monastero, uno dei primi in occidente.
La sua fama di uomo retto e santo fece sì che i suoi concittadini, dopo la morte di Ilario, lo vollero vescovo. Effettivamente a quei tempi era il popolo che si sceglieva i suoi vescovi.
Ma si racconta che Martino, per sfuggire alla folla, si sia rifugiato in una stalla, ma che le strida delle oche lì presenti lo abbiano smascherato. Così venne consacrato vescovo nel 371 e il suo incarico durò per ben 26 anni, seguito ed amato dalla sua gente per l’ attenzione pastorale, la sollecita carità nei confronti dei più bisognosi, la ferma difesa della fede contro l’eresia ariana.
Morì l’otto novembre del 397 a Candes, una cittadina dove si era recato per pacificare le due fazioni del clero locale.
Fu trasportato, navigando sulla Loira, a Tours dove si svolsero le esequie l’11novembre, alla presenza di una folla immensa.
La sua fama di taumaturgo richiamò sulla sua tomba molta gente al punto che nel 470 fu edificata una basilica nell’abside della quale fu deposto il suo corpo che fu rispettato dai Normanni, ma vilipeso dagli Ugonotti durante le guerre di religione del XVI secolo. E’ impressionante constatare che a distanza di più di millecinquecento anni l’Europa cattolica ricordi san Martino nel giorno dei suoi funerali!
Molte sono le usanze e i proverbi che ruotano attorno al santo.
La più importante per un passato non molto lontano, nelle nostre contrade il giorno di san Martino scadevano i contratti agrari, specialmente duri quelli dei mezzadri che potevano essere messi in mezzo ad una strada dal padrone delle terre da loro lavorate, come ben ricordato dal film “L’albero degli zoccoli”. E’ rimasto un ricordo amaro nell’espressione popolare “far san Martin” con il significato di “traslocare”.
Per san Martino il grano doveva essere già stato seminato, il vino travasato.
Era ed è una giornata di festa che qualcuno vuole legata storicamente, almeno nell’Italia settentrionale, alle tradizioni celtiche. Ed anche il clima la favorisce con la famosa “istadea de san Martin che dura tre giorni e un pochetin”.
La leggenda narra che il mattino seguente al generoso gesto di Martino, si sia commosso anche il clima regalando alcune giornate di un bel tepore.
L’aria di festa è confermata dai proverbi : “per san Martino oca, castagne e vino”, “chi no magna l’oca a san Martin non fa el beco di un quatrin!”
Si dice che l’usanza di mangiare l’oca in questa ricorrenza derivi dal famoso episodio della vita del santo, ma non sarà proprio così!
In ogni parte d’Italia legati alla festa ci sono dolci tradizionali, da quello di san Martino a cavallo nel Veneto, ai biscotti inzuppati nel vino santo nel palermitano.
Un’altra accortezza si deve usare, almeno nelle regioni del nord: ricordarsi di portare all’interno le piante di agrumi che possono stare all’aperto solo “tra i due santi a cavallo”, cioè dalla festa di san Giorgio, il 23 aprile, e quella appunto di san Martino.
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