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Bianchi carichi di storia e spumanti metodo classico

di di Nino d'Antonio

Visto dall’alto, il paesaggio è un enorme foresta di conifere e faggi, che dilaga in tutto il territorio per oltre il 70%. Per il resto, una geografia varia e contrastata, fra celebrate valli (ma piccole e ristrette, ad eccezione di quella dell’Adige) e le Dolomiti occidentali, i passi alpini e i laghi.

Paesaggi di sicuro fascino, che si rinnovano ad ogni cambio di stagione. Nel ’48 i due territori sono stati accorpati in una sola regione a statuto speciale, ma hanno storie ben distinte. L’Alto Adige, di stirpe germanica, è bilingue. Il Trentino ha una decisa impronta d’italianità.

Entrambe terre generose per frutteti (le famose mele della Val di Noon) e vigneti, sono anche fra le meno abitate d’Italia. Il vino qui ha trascorsi antichi e riflette non poco le vicende che hanno segnato queste terre. Il Trentino con oltre novemila ettari – quasi il doppio dell’Alto Adige – vanta uve di più larga notorietà e forse un “mestiere” più scaltrito nel far vino.

E qui se l’Alto Adige non avesse altri punti di attrazione – e ne ha invece tanti – meriterebbe di sicuro un posto di tutto rispetto per i suoi vini. Che non sono soltanto espressione autentica di un territorio quantomai vocato, ma il risultato di una secolare fatica portata avanti dall’orgoglio e dalla fede della gente di queste valli.

Incontro, nella sede del Consorzio di Tutela a Bolzano, il direttore Eduard Bernhart, studi a Vienna e laurea in Agraria a Bologna. E’ un giovane – 35 anni – con una precisa e documentata conoscenza della realtà in cui opera. Un patrimonio necessario perché l’organismo associativo dell’Alto Adige ha alle spalle una storia piuttosto movimentata. Il Consorzio, quale risulta oggi, è stato fondato nel 2007, e conta 175 soci. Ma è nato dall’aggregazione di un pugno di Cantine Sociali, come prova il Consiglio di amministrazione composto dai membri di cinque Cantine, più tre rappresentanti delle cosiddette “Tenute”, (vale a dire aziende che lavorano anche uve non di loro produzione), più due vignaioli-imbottigliatori.

Come si vede, è una gestione che pone non pochi problemi per rispondere alle aspettative dei vari esponenti. Ma il presidente Massimiliano Niedermayer ha sicure doti di equilibrio e un preciso obiettivo: la costante promozione dei vini più tipici del Consorzio, al di là di ogni deprecabile individualismo.

Il Consorzio vanta 5400 ettari, distribuiti in gran parte a nord della provincia di Bolzano, e precisamente in Val d’Isarco, in Val Venosta e in Val d’Adige, anche se le vendemmie più generose si registrano fra Solorno e Bolzano, vale a dire a sud della Regione.

Si tenga conto che la produzione totale è di quaranta milioni di bottiglie, così ripartite: Bianchi per il 60% (in pratica, intorno ai 24 milioni) fra i quali fa spicco il Gewurztraminer, noto sin dal Duecento, che copre circa l’11% dell’intera superficie vitata.

Le cifre, come sempre, non si sottraggono alla loro eredità, ma rappresentano il solo riferimento per affermare che affianco al Pinot Bianco e allo Chardonnay, il Consorzio conta una serie di vitigni di particolare identità, come il Muller Thurgau, il Kerner e il Sylvaner, per limitarci a quelli più rappresentativi.

Sul fronte dei Rossi, siamo invece su esiti meno vistosi. Anche se gli autoctoni sono più presenti. A cominciare dalla Schiava (quell’antico vitigno quantomai tipico per il basso contenuto sia di tannini che di alcol) al Lagrein, un’uva di punta del settore.

E qui, in questa ristretta “rosa”, trova il suo felice insediamento anche il Pinot Nero, il classico “Re di Borgogna”, al quale – con una punta di orgoglio – possiamo dire che il nostro non ha niente da invidiare.

Il presidente Niedermayer, che incontro in serata nella sua antica casa di campagna, mi chiede se ho preso nota degli Spumanti. “Tenga conto che siamo ormai a ridosso di un grande evento. La celebrazione del Trentennale, che ha visto la nascita del nostro primo Spumante, metodo Classico, oggi affermato sui mercati di mezzo mondo. Aggiunga che si tratta di una ristretta pattuglia di produttori - appena sette – ma animati da un orgoglio che non ha confronti… E a loro dobbiamo l’immagine più viva e trainante del nostro Consorzio…”

Eppure, parliamo di sole trecentomila bottiglie, un dato che non è estraneo alla nascita di quel segmento di nicchia, assai accreditato presso gli appassionati di questi vini. Torna a questo punto in gioco il direttore Bernhart. La validità di un Consorzio si misura oltre che dalla qualità dei prodotti, dal potenziale economico che esprime. E a quello dell’Alto Adige non manca una larga presenza sui mercati esteri. Le vendite oltre confine si aggirano sul 25 % della produzione, e vedono in testa Germania, Stati Uniti, Russia e Giappone.

Le piazze interne, assorbono invece il rimanente 75%, un terzo del quale viene consumato all’interno dell’Alto Adige.

Rischio ancora una volta di cedere ai numeri, per cui chiedo quali finalità persegue il Consorzio, oltre la promozione sui vari mercati. La risposta del Presidente è sintetica ed esauriente. “Siamo presenti su un panorama di fiere specializzate, in Italia e all’estero. Ma soprattutto organizziamo una serie d’incontri, degustazioni e spunti di ricerca sui vini dell’Alto Adige. C’è poi l’ambizioso obiettivo di favorire l’adozione di ogni misura per una migliore sostenibilità… Ma è un terreno ancora in parte da dissodare.

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MASSIMILIANO NIEDERMAYER

PRESIDENTE CONSORZIO ALTO ADIGE

 

Una particolare carica di simpatia, non estranea alla sua passione per la cucina, con la quale il presidente intrattiene un rapporto privilegiato. Appena può. Da quella tipica a quella creativa. Il tempo è tiranno, perché a quella del Consorzio si aggiunge anche la presidenza della Cantina Sociale di Col Terenzio, a sud di Bolzano, nonché i quattro ettari di famiglia, dove alleva uve di Pinot Nero, Chardonnay, Sauvignon Bianco e Traminer. Sposato due volte, Niedermayer ha quattro figli, tutti maschi.

È un assiduo lettore di giornali di vario orientamento (“Mi aiutano a capire qualcosa di questa tormentata politica”), ma preferisce i libri di storia, specie quella antica.

Niente televisione, ma una decisa preferenza per il teatro, a tutto danno del cinema. In fatto d’arte, il presidente ama la buona musica e la pittura figurativa. In particolare quella veneta, che non manca di inseguire nelle sue visite ai vari musei, anche all’estero.

Crede fermamente in due valori: quello dell’amicizia, perché ci aiuta a vivere meglio, e la fede nel mondo, che, prima o poi, dovrà ricordarsi di amare e rispettare gli uomini.

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