Il turismo del vino e la pandemia
di Nino d'Antonio
Il vino in sé – vale a dire svincolato da ogni legame con le suggestioni e la storia del territorio d’origine – può essere un sufficiente motivo di attrazione? Intendo dire: sottratte alla magia di Siena le cantine di Montalcino avrebbero avuto la medesima fortuna? E ancora: quelle di Cirò o di Manduria, sradicate dal tessuto della Magna Grecia, sarebbero state ugualmente al centro di quel turismo, che vede vino e cantine affianco ai tesori archeologici di Sibari, Crotone, Metaponto?
In un’Italia, miniera d’arte e di lontane civiltà, il gioco potrebbe continuare all’infinito. Per concludere, forse, che il cosiddetto turismo del vino ha fatto passi da gigante dall’iniziale progetto, carico di legittime ambizioni. Ma in verità piuttosto difficile da portare avanti, se si tiene conto del vasto coinvolgimento di enti e istituzioni, che spesso fanno fatica ad operare insieme. Eppure, a dispetto di queste infelici divergenze, il progetto di un turismo del vino, non solo si è affermato, ma è cresciuto oltre ogni imprevedibile fortuna. L’ultimo rapporto (2019) cita ben quindici milioni di visitatori, un incremento del 7% e un giro di affari di oltre due milioni e mezzo di euro.
Un record, che carica di giuste soddisfazioni tutti gli enti coinvolti, dall’Università di Salerno (nella persona del prof. Festa) alle Donne del Vino all’Associazione Città del Vino, a non considerare le varie amministrazioni comunali, sindaci in testa. Tutti entusiasti promotori di quel panorama di attività che ha alimentato in questi anni il Turismo del Vino.
Ora, inevitabilmente si sconteranno gli effetti del Covid-19, anche se si lavora con grande impegno per contenere la sciagura nei termini di una temporanea battuta d’arresto. E’ allo studio, infatti, la ripartenza con nuove modalità attraverso nuovi servizi, anche virtuali, e un’accessibilità ai territori più ampia e di migliore qualità. Questo, grazie a una rete di sentieri, piste ciclabili, itinerari culturali ed enogastronomici, nonché la nascita di una solida alleanza tra pubblico e privato.
Il “XVI Rapporto sul Turismo del Vino in Italia”, è il naturale candidato ad accompagnare una nuova sinergia (pubblico-privata) tra istituzioni locali, cantine e sistema ricettivo. Questo allo scopo di tutelare un comparto che prima della pandemia valeva oltre 2,65 miliardi di euro e 15 milioni di enoturisti. E’ evidente che la ripresa punti sull’estate, con la riscoperta delle campagne e dei borghi minori, più congeniali alla nuova tipologia di una vacanza “protetta”. Si tratta, in effetti, di risvegliare l’interesse per molti italiani verso una forma di turismo ancora poco praticata, tra vigne, degustazioni all’aperto e centri storici di grande fascino.
Il rilancio di queste realtà richiede non poco impegno. Si tratta, infatti, di riqualificare e creare nuovi sentieri, piste ciclabili, percorsi enoturistici, segnaletica, itinerari ed esperienze culturali, ma anche infrastrutture di servizio e connessioni digitali in linea con i territori più rurali e spesso svantaggiati dal digital divide. Le cantine, intanto, si stanno organizzando per la fase di ripartenza, ma non si può pensare un futuro che veda lo sviluppo dell’enoturismo ricadere solo sulle spalle e sulle risorse dei produttori.
Dall’analisi del Rapporto emerge che il 2019 è stato l’anno con le performance più elevate per il Turismo del Vino in Italia, un dato ricavato con interviste tra 80 Comuni (il 18,22% delle Città del Vino) e 92 cantine. La fotografia sui territori ha registrato il protagonismo di molti sindaci e amministratori nell’animazione enoturistica. Ad esempio, il 40% dei Comuni intervistati (32 su 80) ha applicato la tassa di soggiorno e reinvestito le entrate in comunicazione e servizi. Quello di Alba (Cn) ha puntato sulla promozione di eventi, in particolare la Fiera Internazionale del Tartufo Bianco, mentre quello di Avola, in Sicilia, sull’attivazione di un servizio di bus turistico. Ad Aymavilles, in Val d’Aosta, il punto di forza va ricercato invece nella manutenzione della rete escursionistica; mentre a Conegliano (Tv) è il restauro del castello a tenere banco.
Si tratta di Comuni che, nell’86% dei casi, hanno realizzato uno o più progetti per promuovere l’attrattività enoturistica del territorio e/o migliorare i servizi offerti. Ad esempio ad Annone Veneto con nuove piste ciclabili e non pochi interventi a favore del turismo lento. E’ il caso di Avio, con il Palio delle Botti; di Caluso in Piemonte, con il Divino Canavese e la Festa dell’Uva Erbaluce; nonché di Castel Ritaldi in Umbria, con “Fiabe saporite”. Fino a Donnas (Aosta), con il recupero di vigneti, resi in parte fruibili ai disabili, tramite un finanziamento europeo sul progetto “Route des Vignobles Alpins”.
Ma è solo un veloce sguardo sulle attività promozionali dei vari Comuni.
Il Rapporto ha analizzato anche un campione di 92 cantine italiane. Le aziende hanno dichiarato una media di presenze nel 2019 di circa 3.700 enoturisti e un fatturato in cantina legato a vendite dirette e degustazioni per 132mila euro. La quasi totalità (95-96%) fa vendita diretta, degustazioni e visite alla struttura, mentre il 20% ha un servizio di ristorazione.
Una percentuale che ritroviamo anche nei vari musei del vino e nelle gallerie d’arte, interne alle cantine. Ma qual è l’immagine dell’enoturista? L’età media è di 48 anni, e circa la metà del campione ha dichiarato di trascorrere un periodo di vacanza nei territori del vino, almeno una volta l’anno. Si tratta di un turista prevalentemente “regionale” poiché il 30% rientra a casa a fine giornata.
Questo significa che la preferenza dei turisti va alle cantine nell’area di residenza.
Anche per l’anno appena trascorso, la Toscana si conferma la prima regione enoturistica. Al Nord, seguono il Piemonte, il Trentino Alto-Adige e il Veneto.
Mentre per il Sud, il primato spetta alla Campania.
Non va dimenticato, infatti, che la sola Irpinia (oltre cento comuni nella provincia di Avellino) è patria di tre Docg, Taurasi, Greco e Fiano.
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