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Il Nespolo tra storia, mito e cultura popolare

di Enzo Gambin

Nespolo antico,

di virtù nascoste e di tempo

che piega,

e chi ti coglie, con mano leggera,

scopre il dono che l’attesa genera.

Avete mai pensato di regalare alla vostra amata un rametto di nespole?

Potrebbe sembrare un dono insolito, ma, secondo la tradizione, questi frutti simboleggiano la donna virtuosa.

Il nespolo, con la sua maturazione tardiva, riflette pazienza e costanza, qualità che si associano al concetto di virtù femminile.

Eppure, nel linguaggio figurato, la nespola assume anche significati diversi, spesso legati a eventi sgradevoli e improvvisi, che creano difficoltà.

Da qui l’espressione “ricevere una nespola” in riferimento a una sorpresa negativa.

Il termine “nespola” deriva dal latino “mespĭlum”, a sua volta dal greco “μέσπιλον”, “mésphilon”, che significa “essere amabile” o “essere dolce”, significato che contrasta con l’uso figurato moderno, ma richiama l’idea di un frutto che, benché aspro all’inizio, diventa dolce e apprezzabile con il tempo.

Anticamente, il nespolo era sacro a Crono per i Greci e a Saturno per i Romani, divinità che, pur appartenendo a mitologie diverse, condividevano ruoli legati all’agricoltura e al tempo.

Crono era il titano della semina e del raccolto, mentre Saturno era il dio della semina, dell’agricoltura e del tempo.

Il nespolo, con i suoi frutti che maturano lentamente, diventava simbolo del passare del tempo, della maturazione e della ciclicità naturale, rappresentava fertilità e abbondanza, valori fondamentali per entrambe le divinità, poiché garantivano la prosperità dei raccolti.

Plinio il Vecchio descrive il nespolo nel Naturalis Historia (Libro XV, Capitolo 22) sotto il nome di Mespilus:”Mespilus apud nos arbor in honore non est: fructus eius difficulter concoquitur, sed diutino condicione in acorem mutatur. Itaque eas per hiemem putrescere dimittunt, ut edantur.”, “Il nespolo da noi non è un albero particolarmente onorato: il suo frutto è difficile da digerire, ma con il tempo cambia e diventa più acido. Per questo motivo lo lasciano decomporsi durante l’inverno, così che possa essere mangiato.”

In questo passaggio, Plinio sottolinea il fatto che il frutto del nespolo richiede un lungo periodo di maturazione, un aspetto che era già ben noto in epoca romana e, da qui il proverbio “Con il tempo e con la paglia maturano le nespole” che deriva dall’uso di far, necessariamente, maturare a lungo le nespole prima di poterle mangiare.

Sono, infatti, frutti che appena raccolti sono ricchi di tannini e non sono gradevoli da mangiare, determinano una spiacevole sensazione astringente, come si dice comunemente: allappano.

Se avete pazienza e curiosità, potete cimentarvi nella raccolta delle nespole, che avviene in autunno, quando i frutti assumono una colorazione bruno-rossastra. Inizialmente, la polpa è dura e astringente, ma dopo un lungo periodo di maturazione al buio, in un luogo ventilato e coperta di paglia, la nespola diventa morbida, dolce e particolarmente gradevole. Questo processo, chiamato “ammezzimento,” può durare alcune settimane e richiede un controllo frequente per rigirare i frutti e assicurare una maturazione uniforme.

Le nespole sono pronte per essere consumate quando assumono una colorazione opaca viola-marrone e la loro consistenza diventa tenera. Una volta mature, possono essere consumate tal quali oppure utilizzate per preparare confetture, salse o liquori, preservando così il loro sapore unico anche fuori stagione.

L’albero era piantato davanti alle case, perché ritenuto capace di allontanare figure maligne e influenze negative, come le strigae o i malefici. il termine striga è legato alla parola greca “στρίξ”, “stríx”, che significa “civetta”. Nell’immaginario antico, la civetta era associata a forze oscure e notturne, legate alla magia e creature soprannaturali simili ai vampiri, spesso rappresentate come donne capaci di trasformarsi in uccelli notturni per compiere i loro malefici.

Nel Medioevo, le nespole comuni erano comunemente utilizzate per le proprietà febbrifughe e antidiarroiche, mentre con il tannino della corteccia, delle foglie e dei frutti immaturi si effettuava la concia delle pelli.

Pietro Andrea Matthioli, 1501 – 1578, nel suo lavoro Commentarii in libros sex Pedacii Dioscoridis, menziona il nespolo e le sue proprietà in diversi passaggi: “Le nespole sono utili contro la diarrea e le malattie di stomaco, grazie alla loro natura astringente. Si possono consumare i frutti maturi, ma anche le foglie e la corteccia hanno effetti terapeutici … Dalla corteccia e dalle foglie del nespolo, si possono fare decotti utili per contrastare febbri e disturbi gastrointestinali. Le nespole, se consumate fresche, aiutano a bilanciare le funzioni digestive.”

Nel 1784 fu introdotto nell’orto botanico di Parigi una nuova specie di nespolo proveniente dal Giappone, l’Eriobotrya japonica, o nespolo del Giappone, diverso dal Mespilus germanica, o nespolo comune. Sebbene appartengano alla stessa famiglia botanica delle Rosacee, le due specie hanno differenze notevoli. Il nespolo comune produce frutti autunnali, mentre il nespolo del Giappone, con frutti primaverili, è una pianta di origini orientali che si è diffusa in Europa grazie ai commerciatori e ai botanici dell’epoca.

Il nome scientifico Mespilus germanica fu assegnato dal botanico Carlo Linneo nel 1753 e include l’epiteto germanica, ma si tratta di un errore, infatti, la pianta non ha origine in Germania, bensì nel Caucaso e nel Medio Oriente, e la sua diffusione in Europa fu merito dei Romani.

Il “Brogliaccio di fabbrica dei Romanengo,” appartenente all’omonima famiglia che gestiva una drogheria a Genova nel 1780, descriveva le tecniche di produzione della frutta candita, inclusi i nespoli del Giappone. Questo documento rileva che questi frutti erano estremamente delicati e creavano “imbarazzo”, perché la loro squisitezza rendeva difficile decidere se venderli freschi o trasformarli in marmellata o distillarli o creare un liquore, il “Nespolino.” Questo liquore era ed è noto per essere prodotto con i noccioli dei nespoli, dal gusto dolce e aromatico. Il nespolo è presente anche nella letteratura, dove assume connotazioni simboliche, si trova nel romanzo “I Malavoglia” di Giovanni Verga, 1840 – 1922, dove cresce nel cortile della “Casa del Nespolo,” e diventa simbolo delle radici profonde, della stabilità e della resilienza della famiglia Toscano.

La pianta rappresenta l’identità familiare, la resistenza agli eventi avversi e il legame con la terra e le tradizioni.

Nel canto VI del suo poema cavalleresco “Morgante”, Luigi Pulci, 1432 – 1484, introduce l’immagine della “nespola acerba” in un contesto umoristico e grottesco, legato a una scena di combattimento. Il gigante Morgante, noto per la sua forza sovrumana e indole bonaria, si scontra con un avversario che abbassa la lancia con un atteggiamento superbo, convinto di poterlo sconfiggere con facilità.

La lancia abbassa

con molta superba,

E percosse Morgante

in su la spalla;

E’ si pensò traboccarlo

in su l’erba:

Morgante non lo stima

una farfalla,

Ed appiccògli una nespola acerba

Tanto che tutto pel colpo traballa:

E come e’ vide balenar Dodone,

Se gli accostava, e trassel dell’arcione.

Fu così che nel linguaggio popolare la parola indica anche un colpo ben assestato, rapido e secco (“Che nespole!” oppure “Gli ho dato certe nespole!”).

Affascinato dal nespolo è stato Michele Prenna, nato nel 1946, è un poeta che ha dedicato gran parte della sua vita all’insegnamento, e nella poesia “Sul nespolo” riesce a catturare con eleganza la trasformazione di questo albero nel ciclo della natura.

Sul Nepolo

Sul nespolo prendono arancio

i frutti dalla polpa asprigna

e i rami s’incurvano al peso.

L’albero in gara con la palma

stimo per come appare bello

con la chioma lucida di foglia.

Gentile me ne porge in dono

di tante la prima ben matura

nespola del prossimo raccolto.

Del pensiero grato alla pianta

alle labbra porto lieto il frutto

pregustandone i molti dell’annata.

I frutti, descritti mentre assumono una colorazione aranciata, piegano i rami sotto il loro peso, suggerendo non solo la generosità della pianta ma anche l’inevitabile arrendersi alla gravità del raccolto. L’immagine dell’albero in “gara” con la palma esprime un senso di ammirazione verso il nespolo, elogiato non solo per i suoi frutti ma anche per la sua bellezza, con una chioma lucente che lo rende maestoso. La scena in cui viene offerta la prima nespola matura, con un gesto di gentilezza e generosità, anticipa il piacere di gustare i frutti del prossimo raccolto, quasi come una promessa di abbondanza futura.

Il poeta esprime gratitudine nei confronti della pianta, portando con gioia il frutto alle labbra, pregustando la soddisfazione di un’annata prospera. In poche righe, Prenna riesce a evocare immagini vivide e sensazioni tangibili, trasformando una semplice scena rurale in un momento di profonda riflessione sul legame tra l’uomo e la natura. La poesia celebra l’attesa e il dono del raccolto, un invito a riconoscere la bellezza intrinseca dei cicli naturali e il valore della pazienza.

Prenna, attraverso un linguaggio delicato e ricco di dettagli, ci invita a contemplare la semplicità del quotidiano, trasmettendo una connessione emotiva che fa emergere il fascino nascosto di una scena di campagna. Un personaggio molto celebre e amato, Topo Gigio, era un appassionato di nespole, tanto da riportare questo frutto nella sua canzone “Strapazzami di coccole” di Franco Braccardi e Peppino Mazzullo, musica Paolo Olmi. Nel 1974 la canzone è stata resa popolare durante la trasmissione “Canzonissima”, dove Topo Gigio ha duettato con Raffaella Carrà. La canzone contiene la strofa:

Tutto sale - sale - tutto sale

Son salite anche le nespole – nespole

Cosa mi dici, mi dici mai

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