La Rapa filosofa
di Enzo Gambin
Nella terra umile e sincera
cresce la rapa, per l’uomo compagna vera.
Radice antica, dal cuore profondo,
nutre tutti in questo mondo.
Dal campo al piatto, questo è il suo percorso,
il suo sapore si apre al primo morso.
Quando è in tavola ti racconta il suo passato,
è una forza che non ha mai vacillato.
Quando si dice a qualcuno “sei una rapa”, il significato comune è tutt’altro che lusinghiero, l’espressione evoca una persona con poca intelligenza o iniziativa, qualcuno considerato “ottuso” o “privo di idee brillanti”.
Ma è davvero giusto associare a un ortaggio come la rapa un concetto così negativo?
Perché proprio la rapa è stata scelta come simbolo di incomprensione o mancanza di acutezza?
E soprattutto, cosa c’è dietro l’umile rapa che merita una simile ingiustizia?
Iniziamo col dire che questa similitudine potrebbe derivare da una percezione superficiale e, spesso, poco consapevole delle reali caratteristiche della rapa.
Come sovente accade, ciò che appare semplice può nascondere una grande profondità e questo ortaggio ha dato e dona molto più di quanto gli si riconosca.
Analizziamo insieme la vera essenza della rapa e scopriremo che forse il problema non è nell’ortaggio, ma in come lo interpretiamo.
Questa radice, infatti, prima dell’arrivo della patata dal Nuovo Mondo, ha contribuito a sfamare per secoli generazioni e generazioni di popoli, saranno le sue forme pesanti o perché si è connotata come cibo del popolino e degli animali che si è creata la fama fama di mancanza d’acume, che non accenna a estinguersi.
Allora ha un senso parlare di “filosofia della rapa”, perché anche un ortaggio quotidiano e semplice può offrire spunti di riflessione di valori preziosi, che andremo a scoprire.
La rapa, conosciuta scientificamente come Brassica rapa, ha, invece, una storia lunga e ricca, coltivata da oltre 4.000 anni, ha rappresentato una risorsa essenziale per i popoli antichi.
L’etimologia del suo nome deriva dal latino “rapum”, che significa “radice”.
Questo termine, a sua volta, potrebbe provenire dal greco antico “ῥάφη”, “rháphē”, con lo stesso significato.
Alcuni studiosi suggeriscono che questo nome abbia radici nelle lingue indoeuropee, con un concetto simile di “radice” o “parte fondamentale della pianta”.
Questa radice comune sottolinea l’importanza storica della rapa come fonte di nutrimento basilare.
Il fatto che un termine così antico sia sopravvissuto per millenni testimonia l’importanza di questo ortaggio, che nonostante l’aspetto modesto, ha nutrito intere generazioni.
La rapa non è mai stata ignorata dai grandi scrittori dell’antichità, Plinio il Vecchio, 23 – 79, nel suo trattato enciclopedico “Naturalis Historia” (Libro XVIII), la menziona tra le colture utili, evidenziandone le proprietà nutritive e l’importanza per l’agricoltura romana. Sebbene Plinio non le dedichi un approfondimento specifico, la inserisce tra quegli ortaggi che, nonostante la loro “pesantezza” per il palato, offrono un grande contributo nutritivo.
Un altro autore latino, Lucio Giunio Moderato Columella, 4 – 70, nel suo trattato “De Re Rustica” (Libro XII, Capitolo 1), dedica un’intera sezione alla coltivazione delle rape. Columella descrive dettagliatamente i metodi di semina, la cura delle piante e le condizioni ottimali per la loro crescita, in particolare, sottolinea l’importanza di coltivare rape in terreni ricchi di sostanze nutritive e di proteggere le piante da freddo eccessivo e siccità.
“Rapa quoque, quamquam terrae pinguiori et umidiori magis conuenit, tamen in siccis et tenuibus locis non respuitur, dummodo imbribus uel irrigua aquae uelantur. Seminatur rapa uel mense Iulio uel Augusto uel etiam Septembri, et protinus gignitur, et autumno perficitur. Eius radices et caulem pecori dandas, at in omni animantium genere salutiferas esse certum est.”, “Anche la rapa, sebbene si adatti meglio a terreni più grassi e umidi, non viene respinta neanche in luoghi secchi e leggeri, a condizione che sia coperta da piogge o irrigazione. La rapa viene seminata nei mesi di luglio, agosto o persino settembre, e germina subito, maturando in autunno. Le sue radici e il fusto possono essere dati al bestiame, ed è certo che siano salutari per ogni tipo di animale.”
Columella in questo passaggio evidenzia la versatilità della rapa, adattabile sia a terreni grassi che secchi, e ne sottolinea il valore alimentare e salutare per il bestiame.
È un esempio di come, nell’antichità, la rapa fosse apprezzata non solo come cibo per gli esseri umani, ma anche come risorsa per l’alimentazione degli animali, cosa che troviamo secoli dopo anche nel “Catechismo agrario” di Ciro Pollini, 1782 – 1833, medico in Verona: “Domanda: Come si coltivano le rape ? Risposta: Le rape (rave in dialetto veronese) variano nel colore e nella forma. Avvi le rape bianche, verdi, violette, rosse, gialle e nericcie . Intorno alla forma avvi la rotonda più o meno gros sa ossia la rapa propriamente detta, avvi i turnepi degl Inglesi, che sono assai grossi, ed ànno una forma meno compressa, e infine avvi i navoni, che ànno una figura bislunga fusiforme, e polpa più solida e sa porita. Vogliono le rape terreno profondo, leggiero e fresco; riescono però anche nel l’argilloso ben lavorato. Il terreno se è ma ro vuol essere governato con letame ben fradicio. Negli orti si seminano quasi tutto l’anno, servendo quelle seminate all’entrar di primavera per la state, e quelle in agosto seminate o in settembre pel verno. Ma ne campi si pongono tagliate le stoppie del frumento, scassando il terreno, quindi spargendone il seme raro, e coprendolo coll’erpice. Se piove nascono benissimo, ma se fa asciutto voglionsi irrigare. Quando anno quattro o cinque foglie si sarchiano e diradano. Allorchè sono vicine a maturità si possono cogliere le foglie esteriori per foraggio. Le radici si cavano al modo stesso che dicemmo delle patate, e quando sieno coltivate in grande si possono estrarre a poco a poco per servire di cibo all’uomo o al bestiame. Sono utili le rape a preparare il terreno pei grani marzuoli.”
Questo passaggio illustra non solo le tecniche di coltivazione delle rape, ma anche l’importanza di questo ortaggio nella storia dell’agricoltura.
La rapa è anche protagonista di storie e fiabe popolari, un esempio famoso è la fiaba russa “La Rapa Gigante” di Aleksei Nikolaevich Tolstoy, 1883 –1945.
La storia della rapa, che diventa talmente grande da richiedere l’aiuto di tutta la famiglia e persino degli animali per essere raccolta, è una metafora potente della cooperazione e del lavoro di squadra: “Caro topo, vuoi aiutarci a tirare su questa maledetta rapa? Il topo afferrò il gatto, il gatto afferrò il cane nero, il cane nero afferrò la nipote, la nipote afferrò la vecchia, la vecchia afferrò il vecchio e il vecchio si mise a tirare la rapa. “Pop!” e finalmente l’ortaggio si sollevò da terra”. Così quella sera si gustarono una deliziosa cena a base di rapa, e il topo sedeva a capo tavola”.
È un racconto semplice ma ricco di significato, dove la rapa diventa il simbolo di come l’unione possa superare qualsiasi ostacolo.
Anche in tempi più recenti, autori come Luciano Luciani, classe 1947, hanno cercato di restituire l’onore alla rapa nel suo libro “Sia reso onore agli umili: La rapa”. Luciani celebra la rapa come “Regina delle radici”; l’opera esplora la rapa da vari punti di vista, dalla letteratura alla gastronomia e pone in luce come questo ortaggio, un tempo essenziale per sfamare generazioni di europei, abbia contribuito molto di più alla storia dell’umanità di quanto si possa pensare.
Luciani sottolinea anche l’aspetto linguistico della rapa, facendo notare come espressioni come “testa di rapa” o “cavare il sangue da una rapa” siano diventate sinonimi di ignoranza e inutilità, invita il lettore a rivalutare questo umile ortaggio, riconoscendone l’importanza storica e culturale.
Una tradizione agricola poco conosciuta ma radicata nel mondo rurale italiano riguarda la semina delle rape nel giorno di San Gioacchino e Sant’Anna, il 26 luglio.
Questa ricorrenza, legata ai santi che la tradizione cristiana riconosce come i nonni di Gesù, assume un valore simbolico nel calendario agricolo.
I contadini seminavano le rape in questo giorno particolare, affidando il futuro raccolto alle cure divine.
La pazienza richiesta per la coltivazione della rapa, ortaggio che affonda le sue radici in profondità, diventa una metafora della saggezza e dell’aiuto che i nonni riversano sui nipoti.
Come per i nonni che vedono crescere lentamente i frutti del loro amore, anche i contadini osservano con fiducia la germinazione delle rape, sapendo che la terra ricompenserà la loro attesa con un raccolto abbondante.
È un gesto di fede e di speranza, dove la natura si allinea con il ciclo della vita familiare.
Questo legame tra tradizione popolare e spiritualità agricola è un ulteriore esempio di come la rapa, pur nella sua umiltà, abbia un posto speciale nella cultura contadina.
La rapa, con la sua radice profonda e il suo legame con la terra, è molto più di un semplice ortaggio, simboleggia l’umiltà, la resilienza e la capacità di adattarsi alle circostanze più difficili e qui sta la “Filosofia della Rapa”.
Proprio come una rapa può crescere nelle condizioni più ostili, anche noi possiamo trovare forza e nutrimento nelle difficoltà.
Nella sua semplicità, la rapa ci ricorda che non tutto ciò che è prezioso si manifesta immediatamente in superficie. Proprio come il suo potenziale nutritivo si trova nascosto sotto terra, anche noi dobbiamo guardare oltre l’apparenza e scoprire le qualità nascoste nelle persone e nelle situazioni.
In conclusione, la rapa, spesso sottovalutata e usata come termine di scherno, merita una rivalutazione.
Non solo è un alimento che ha nutrito popolazioni per millenni, ma è anche un simbolo di resilienza e forza nascosta. Come la rapa cresce silenziosamente sottoterra, anche le qualità più preziose nella vita possono essere nascoste, pronte a emergere quando meno ce lo aspettiamo.
Concetti che troviamo nella cultura di alcune aree rurali della Gran Bretagna, dove si cantano canzoni popolari come “The turmip song”, “La canzone della rapa”, che si rifà al racconto del Tolstoy in un’influenza spirituale condivisa, che recita: “Ho piantato una rapa nel mio giardino, cresceva più grande di quanto potessi immaginare. Ora tutti nel villaggio voglio vedere quella rapa che sta lì. La rapa, la rapa, la rapa. Cresce grande e forte. La rapa, la rapa, la rapa, racconta storie lunghe. Un giorno decisi di tirarla fuori. Chiamai tutta la famiglia la moglie, mio figlio, il cane e il gatto, insieme alla rapa diedero un bel strattone. La rapa, la rapa, la rapa. Cresce grande e forte. La rapa, la rapa, la rapa, racconta storie lunghe”.
E così la “La Rapa filosofa” diventa una metafora per vivere una vita piena di saggezza, gentilezza e connessione con la natura.
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