La sicura identità di Bacco a Furore
di Nino D’Antonio
Anche fra quelli che contano trentanni o poco più, vi sono cuochi con un sicuro radicamento al territorio. Che significa, poi, non solo un legame alla tradizione – e quindi ai prodotti e alle stagioni – ma a quella sapienza della memoria che eleva a mito ogni piatto, in grado di esprimere l’impronta e la storia di una famiglia.
Pietro Cuomo – simpatia istintiva, tanto garbo e tanta modestia, in un mondo di chef quantomai sicuri della loro genialità – ha origini che oscillano su tre poli, tutti di grande attrazione: Gragnano, patria della pasta, dove è nato; Furore, in Costa d’Amalfi dove vive e lavora, e Castellammare di Stabia, sulla riviera di Sorrento, dove ha studiato presso la ben nota Scuola Alberghiera.
Così Pietro dopo un’esperienza di lavoro nel Veneto (dove l’altra faccia della cucina di pesce ha offerto non pochi spunti alle sue ricerche) è tornato in patria. Vale a dire prima “al Pirata”, sulla spiaggia della Praia, e poi al “M’Ama” di Praiano alta, un ristorante di eccellenza, nonché confortevole albergo, condotto da Andrea e Suela Ferraioli. Cioè da quel ceppo di Bacco a Furore, dove attualmente Pietro Cuomo lavora.
“In effetti sono passato dall’una all’altra cucina, sempre nell’ambito della stessa famiglia, e questo ha favorito la mia formazione, anche sul piano culturale. Perché i Ferraioli hanno un rispetto sacro per i piatti del passato. Dare sfogo alla ricerca ed alla fantasia, è sempre auspicabile, ma senza intervenire – e soprattutto stravolgere – quelli che hanno dato lustro e prestigio alla nostra cucina.”
I convincimenti di Cuomo hanno trovato da Bacco il terreno ideale per crescere, anche grazie alla grande lezione di Donna Erminia, da circa mezzo secolo ai fornelli della Casa. Così la cucina dell’ Abate Corrado o del Duca di Bonvicino hanno trovato qui la loro sede ideale.
La frittata di “scammaro” (corruzione di ex camera) fatta con pasta senza uova, o gli ziti “allerta”, cioè in posizione verticale, offrono imprevedibili alternative alla classica colatura di alici, agli spaghetti alle vongole con foglie di capperi della Costa e bucce di limone, fino al pesce bandiera, preparato a involtini, con ripieno di scarole, olive e capperi.
Insomma un ventaglio di proposte invitanti (e originali) che trovano poco riscontro nei tanti ristoranti della Penisola amalfitana. Di qui la vasta letteratura (Bacco allinea un intero banco con tutte le pubblicazioni a varie latitudini, che ha meritato la cucina) da Lamadia a Gambero Rosso, a Le terre del Vino a Tastevin, tutte con ampi servizi su questi piatti tra passato e ricerca.
Si tratta di cibi che impongono anche di essere raccontati, perché spesso lontani da qualsiasi esperienza dei clienti.
Nasce così un discorso carico di storia, ma anche di leggende e di magia, che Domenico Ferraioli (che conduce la sala) sa fare con molta sapienza e tanta partecipazione.
Ancora una volta è la famiglia a tenere banco.
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