La Poggiana di Rosà leader nella distribuzione di vino, birra e distillati
di Nino D’Antonio
Cinquantanni. Possono essere tanti o pochi. Dipende da quello che si è fatto. Da quanta storia è stata messa insieme. E qui, nell’enorme struttura della F.lli Poggiana – un vero e proprio hangar, tra fronte espositivo, sala convegni e cantinato – è quasi d’obbligo cedere alla tentazione di ripercorrere questo mezzo secolo, nel nome di Angelo, suo fondatore.
Appena lo scorso anno, nel 2017, non sono mancate una serie d’iniziative per celebrare la ricorrenza. Prima fra tutte, il riconoscimento all’Azienda Poggiana del Premio Gastronauta, riservato alle migliori enoteche d’Italia “per qualità dell’offerta, professionalità ed esperienza”.
Ma proviamo a ripercorrere la singolare avventura di questo giovane, carico di entusiasmo e di fede. Siamo nei primi anni Sessanta, in un’Italia che sta faticosamente uscendo dalle macerie della guerra. Angelo prova a mettere insieme una rete di distribuzione e di vendita di vino, allora in prevalenza sfuso. Obiettivi privilegiati, pizzerie e trattorie, distribuite da Bassano del Grappa in tutta la Valsugana.
I collegamenti sono quantomai gravosi. Prima in bicicletta, poi con una moto e finalmente con un furgoncino di seconda mano. Un’operazione non priva di rischi, ma che darà in breve i suoi frutti. Al punto che già nel ’67, Angelo con i tre figli, Francesco, Giuseppe e Aldo, fonderà la F.lli Poggiana che, potenziata nel settore della distribuzione, estenderà l’offerta alle birre artigianali e ai vari distillati.
A mezzo secolo da questi trascorsi, l’Azienda Poggiana vede oggi al timone Francesco e le sue figlie, Monica e Anna, entrambe laureate in Economia Aziendale, e punto di forza della crescita, anche oltre confine, dell’impresa di famiglia.
Ho ripercorso con papà Francesco i ricordi legati agli esordi faticosi e incerti del genitore. Ma le scelte successive e la politica aziendale sono temi da trattare con Monica, intelligenza viva, occhio al mercato e agli orientamenti del gusto, e scelte ben ponderate.
“Non si tratta solo di puntare sulla qualità, che ormai specie per il vino è un valore acquisito, ma di proporre ai nostri clienti un prodotto che risponda alle richieste e alle aspettative dei consumatori. E non sempre basta l’approccio e l’informazione che possiamo fornire. C’è bisogno di qualcosa in più, in un’epoca che vede protagonista la comunicazione. Di qui i nostri corsi di formazione che hanno lo scopo di coinvolgere sul piano culturale amici e clienti. E di qui anche il ruolo della nostra Enoteca - di recente premiata fra le prime dieci d’Italia – proprio per allargare quest’area di conoscenza”.
Siamo, per così dire, all’aspetto culturale, che da noi è preminente in fatto di vini, ma vedo che la Poggiana tiene d’occhio anche i Paesi emergenti.
“Certo, e non c’è da sorprendersi. I nostri vini godono di una sicura consacrazione (pensiamo alla vendita dei cinquecento milioni di bottiglie del Prosecco), ma i confini si sono ampliati a dismisura. E oggi il consumatore è incuriosito dalla scoperta di nuovi vini. E altrettanto vale per le birre. Noi cerchiamo produttori artigianali, un tempo reperibili solo nell’entroterra belga e tedesco, ma oggi presenti anche in Italia, dove il gusto per la ricerca è il cavallo vincente delle varie produzioni”.
Tenuto conto della gamma di locali di ristorazione, sempre più differenziata, ritiene sia possibile una proposta unica?
“Assolutamente no. A cominciare dalla Carta dei Vini che deve diventare una sorta di abito su misura per i vari locali. E soprattutto tener conto del riferimento al territorio. Che vuol dire alle tradizioni, ai riti, ai miti di quella comunità. Il vino è ciò che sta dietro la bottiglia, nel senso di tutto quello che rappresenta ed esprime sul piano della civiltà e della storia. La nostra sala destinata alla formazione (per gli operatori del settore, ma anche per gli appassionati) nasce appunto dal bisogno di dare una risposta ricca e documentata”.
Ma il vino non è il solo cavallo di battaglia della Poggiana. Le birre costituiscono un assortimento quantomai vasto, anche dal punto di vista geografico, e tengono banco su tutte le piazze. “La nostra azienda non cerca marchi consacrati, ma piccoli e spesso sconosciuti produttori, che puntano al recupero della tradizione nel più assoluto rispetto del territorio. Questo fa sì che le nostre birre abbiano sempre una loro sicura identità”.
E’ pomeriggio avanzato. E per quanto la dottoressa Monica Poggiana abbia celebrato la birra, io chiedo un caffè, il più napoletano possibile.
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